
Tornata a casa, di notte, mi sembrava di soffrire di quel raro disturbo, che ha il nome di una figura retorica, chiamato “sinestesia”.
Ero come ricolma di suoni colorati, odori sgargianti, sapori melodiosi, immagini morbide. Ho preso una penna e il quaderno, per registrare ciò che era successo, per cristallizzare il momento in cui era accaduto:
Arrampicatami sugli scogli, mi guardai intorno: la via lattea era sopra di me, nella sua opacità miracolosa, non disturbata dalle luci provenienti dall’altro lato del promontorio. Un faro lontano, su un’isola prospiciente la costa, ammiccava regolarmente nel buio.
I miei piedi, messi a dura prova dalle rocce, ora posavano su una piattaforma stabile, su cui il mare, nel tempo, aveva depositato strati di alghe, come a farne un umile omaggio alla terraferma.
Dentro, tutto deflagrava silenziosamente.