Il settecento è un secolo magico: non solo corrisponde al periodo delle grandi rivoluzioni, ma, nella sua struggente bellezza e contraddizione, può esser considerato il canto del cigno di un’epoca dorata che si conclude con la decapitazione dell’ancien régime a Place de la revolution.
Personaggi di varia levatura intellettuale e di diverso carisma intrecciarono i loro percorsi per le contrade europee, in quel periodo. Oggi voglio dipanare quella fitta matassa di fili per tessere una piccola rete di coincidenze e curiosità che, spero, appassionerà il lettore.
Comincio da Venezia, città libera e indipendente che ha partorito spiriti peculiari e avventurosi. Uno tra tutti fu Giacomo Casanova (Venezia, 2 aprile 1725 – Dux, odierna Duchcov, 4 giugno 1798). Figura affascinante, tanto charmant da diventare un’antonomasia, privilegio concesso a pochi. Furono lui e le sue prodezze ad ispirare il Don Giovanni mozartiano? È vero che mise mano al testo di qualche scena dell’opera? Probabile. D’altra parte è storicamente provato che Casanova conobbe personalmente, tra Francia e Boemia, sia il coprolalico ed infantile genio austriaco (Salisburgo, 27 gennaio 1756 – Vienna, 5 dicembre 1791), sia il librettista Lorenzo da Ponte (Ceneda, 10 marzo 1749 – New York, 17 agosto 1838), veneto anche lui.
Ecco un altro libertino impenitente. C’è da scommetterci che Casanova e Da Ponte fossero una bella coppia d’assi e non meraviglia che avessero intrecciato una solida amicizia, cementata forse dalla condivisione del debole per il gentil sesso.
Lorenzo da Ponte, nato Emanuele Conegliano, israelita, fu fatto cristiano per volere del padre che, dopo una lunga vedovanza, volle risposarsi con una goyà. Entrato in seminario, affinò le proprie capacità di scrittore e prese i voti, salvo poi farsi bandire dalla Serenissima per “pubblico concubinaggio”. L’amor sacro non interessava tanto Da Ponte quanto quello profano. Dunque, cacciato da Venezia, peregrinò tra Gorizia e Dresda per arrivare, nel 1781, a Vienna. Là conobbe Mozart e, sebbene le sue annotazioni in proposito siano eccezionalmente stringate, la collaborazione tra loro fu talmente proficua da produrre le cosiddette tre opere italiane, che sono anche le più conosciute della produzione mozartiana.
Se Casanova e Da Ponte condividevano origini venete e libertinaggio e se Mozart e Da Ponte furono stretti collaboratori a Vienna, Casanova e Mozart, oltre che dal Don Giovanni, sono accomunati da un ulteriore fattore: la massoneria.
Che cos’è più emblematico del settecento se non la massoneria? In un mondo ancora attaccato alle vecchie regole feudali, è stata proprio lei a permettere ad individui come Casanova e Mozart di entrare in contatto con la casta del potere: Casanova non era altro che il figlio di attori e ballerini, Mozart veniva da una famiglia di musicisti. Gli artisti, per quanto acclamati, erano relegati agli appartamenti della servitù, mangiavano al tavolo dei valletti. Fu grazie alla loggia massonica che poterono invece sedere alla mensa dei potenti, rapportarsi con loro da uomini a uomini, non più da popolani a nobili. In tal senso, dunque, nulla fu più illuminista e rivoluzionario della massoneria.
Forse fu merito della rete di contatti sviluppata dalla Loggia che Casanova ebbe l’occasione di fare un incontro per la descrizione del quale scrisse numerose pagine nelle sue Memorie. Ferney, Svizzera, 1760: Casanova andò a trovare Voltaire (Parigi, 21 novembre 1694 – Parigi, 30 maggio1778), probabilmente il più importante intellettuale del ‘700, l’acerrimo rivale di Rousseau, vicino al quale per ironia della sorte è sepolto al Panthéon di Parigi.
Voilà le plus heureux moment de ma vie. Il y a vingt ans, Monsieur, que je suis votre écolier.
Il libertino lo considerava suo maestro, come potete leggere, ed era profondamente affascinato dai suoi scritti, sebbene fossero estremamente critici verso la classe sociale a cui lo sciupafemmine aveva desiderato di appartenere a pieno titolo per tutta la vita. Prova ne sia il passo delle sue Memorie in cui narra di quanto s’affannò per attirare l’attenzione di una nobile della corte di Versailles, famosa ancor oggi per la sua bellezza, una donna che esercitò il suo fascino non solo sul suo “prestigioso” amante (nientemeno che il re Luigi XV), ma anche su un circolo di dotti e intellettuali ch’ella riuniva nel suo salotto, il cui fiore all’occhiello era proprio, guarda un po’, Voltaire. Sto parlando di Madame de Pompadour (Parigi, 29 dicembre 1721 – Versailles, 15 aprile 1764).
È a questo punto che voglio introdurre un’altra figura. La sua identità è misteriosa, avvolta in una nebbia che è più impenetrabile del tempo. Costui è legato per diversi gradi a ciascuna delle persone che ho già citato in questo articolo. Quando si dibatte su quest’uomo si dà spazio a congetture e a possibilità di ogni sorta. Il buon senso si fa da parte per permettere alla mente di accettare cose inimmaginabili. Per citare un autore più recente
Una volta eliminato l’impossibile, ciò che resta, per quanto improbabile, deve essere la verità.
Molti di voi avranno già trovato per caso in qualche testo il nome del Conte di Saint Germain (23 febbraio 1712? – Eckernförde, 27 febbraio 1784?).
Chi era costui? Non so dirvelo. Un massone, questo è sicuro, introdotto in diverse logge. Un alchimista, è risaputo. Un mago, è stato detto. Un Illuminato, hanno vociferato. Un immortale, si è sentito dire. Apparso in luoghi distanti e diversi allo stesso momento, testimonianze lo riportano, vissuto per un tempo indefinito, forse tuttora in vita, forse ancora giovane e uguale al se stesso di sempre. Gli si attribuisce la paternità di un libro ermetico e magico chiamato La très sainte Trinosophie.
L’unica cosa sicura è che questo Conte di Saint Germain è stato conosciuto da Casanova, quando questi si dilettava in esperimenti di magia e di alchimia; da Mozart, che ne lodava le abilità col violino; da Madame de Pompadour che lo introdusse alla corte di Francia; da Voltaire, che scrisse di essere impressionato dalla capacità del Conte di rimanere sempre giovane e immutato, anche a distanza d’anni.
C’est un homme qui ne meurt point, et qui sait tout.
Casanova, colpito dall’aura che circondava il misterioso nobile, gli riconosceva sapere e poteri. Nella sua autobiografia vi sono dei passi in cui riporta i discorsi del Conte a proposito del Concilio Tridentino: ne parlava come se vi fosse stato veramente, come se avesse visto e sentito tutto con i suoi occhi e le sue orecchie. Tuttavia il donnaiolo veneziano detestava il fatto di passare in secondo piano, agli occhi delle dame, nel momento stesso in cui il Conte faceva il suo ingresso nella stanza. Fu forse a causa di questo risentimento che arrivò a provocarlo a casa di Madame d’Urfé (1705 -13 novembre 1775), eccentrica dama francese, famosa al tempo per i suoi esperimenti magici e spiritici.
Questa donna costituisce uno snodo importante: ella fu un punto di contatto tra l’enigmatico Conte, Giacomo Casanova ed un altro italiano, un siculo per la precisione, anch’egli diventato antonomasia nella nostra lingua. Un furfante, un cialtrone, un lenone, uno spregiudicato massone e sedicente mago che si faceva chiamare Conte di Cagliostro (Palermo, 2 giugno 1743 – San Leo, 26 agosto 1795).
La D’Urfé praticava magie e sedute spiritiche. Fu Cagliostro, a quanto pare, ad evocare per lei l’anima di Paracelso e di un altro mago del passato. Fu il Conte di Saint Germain a lavorare con lei a pratiche alchemiche che includevano la cabala e la pietra filosofale. Fu Casanova a praticare riti e magie “rigeneratrici” assieme a lei.
Tralasciando il fatto che oltre ai sortilegi e alle stregonerie condividevano anche il letto, Casanova pare abbia attinto abbondantemente dalla borsa della marchesa, forte della credulità di lei e della propria impunità.
La magia e le logge massoniche fecero sì che Casanova e Cagliostro, come ho detto comuni conoscenti di madame d’Urfé, si incrociassero ad Aix-en-Provence, in un’osteria. Il donnaiolo veneto fece da cicerone al furfante e alla di lui moglie, poi insieme si diedero ad esperimenti alchemici e magici.
Cagliostro conobbe anche Saint Germain, e qui la cosa si fa interessante. Pare che i due fossero stati collaboratori: quando Cagliostro fu trasferito alla Rocca di San Leo per il carcere a vita, nella sua vecchia cella di Castel Sant’Angelo fu ritrovato proprio La très sainte Trinosophie. Sembra che la frequentazione tra i due alchimisti abbia avuto luogo a Parigi, negli anni in cui, presumibilmente, Cagliostro prese parte anche al famigerato affaire della collana, uno scandalo che coinvolse in prima persona la sventurata regina Maria Antonietta (Vienna, 2 novembre 1755– Parigi, 16 ottobre 1793). Ella stessa ebbe modo di conoscere personalmente il Conte di Saint Germain. La storia narra che nel 1774, all’indomani della morte di Luigi XV, avvenne l’incontro tra la sovrana e il mago: egli le predisse un funesto futuro, in cui la monarchia sarebbe stata rovesciata. Più volte, in seguito, il Conte fece pervenire messaggi a Maria Antonietta, per avvisarla, per metterla in guardia. Sappiamo che questi tentativi non ebbero un esito positivo.
La Bastiglia, che negli anni ’10 del ‘700 aveva avuto come illustre ospite lo stesso Voltaire, perseguitato per i suoi scritti satirici, fu presa il 14 luglio 1789. Meno di due settimane prima un detenuto del carcere parigino, affacciatosi attraverso le sbarre della finestra della sua cella, aveva urlato alla gente di sotto, in strada:
«Qui stanno sgozzando i prigionieri!»
In conseguenza a quest’atto di ribellione, il 4 luglio il prigioniero fu trasferito al manicomio di Charenton. Costui altri non era che il marchese Donatien-Alphonse-François De Sade (Parigi, 2 giugno 1740 – Charenton-Saint-Maurice, 2 dicembre 1814), anche noto come il Divin Marchese, il massimo perverso, il libertino più sfrenato e malato che la storia ricordi.
Il 16 ottobre 1793 Maria Antonietta, che nell’infanzia aveva anche fatto la conoscenza dell’impertinente Mozart, fu decapitata e l’Illuminismo giunse alle sue estreme conseguenze con il periodo del terrore. Un mondo tramontava, l’epoca moderna vedeva la sua fine e presto sarebbe iniziata quella che i manuali di storia riportano comunemente come “epoca contemporanea”.
È un bell’articolo perché si intuisce la passione divertita con cui è stato scritto. Dentro dilaga la curiosità birichina coniugata con il rigore dei dati riportati. Complimenti
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