La festa della Repubblica Italiana trascorsa su territorio francese porta a fare qualche riflessione storica.
Si dice comunemente che noi, in Italia, siamo arrivati a quota tre repubbliche: la prima va dal 2 giugno 1946, giorno del referendum che vide per la prima volta le donne alle urne, al 17 febbraio 1992, quando scoppiò l’affare di Tangentopoli. La seconda coincide più o meno con la parabola berlusconiana, tramontata il 16 novembre 2011, con l’incarico di presiedere il consiglio dei ministri a Mario Monti. Eccoci nella terza.
I francesi sono alla quinta. Qualche intervallo imperiale, tanto per gradire, ma in generale, una volta tagliata la testa al toro (il re), la repubblica c’è sempre stata, in Francia.
Se i galli debbono ai latini l’apprendimento di tale forma di governo, è lo stivale dovere il tricolore all’esagono. O meglio, a Napoleone, che dopotutto troppo francese non era, viste le origini italianissime della gens Bonaparte. Qui il link alla pagina Wikipedia che può delucidarvi un po’ sulla storia di questa interessantissima famiglia.
Riporto qui di seguito la storia del nostro vessillo come viene riportata nel sito ufficiale del Quirinale:
Il tricolore italiano quale bandiera nazionale nasce a Reggio Emilia il 7 gennaio 1797, quando il Parlamento della Repubblica Cispadana, su proposta del deputato Giuseppe Compagnoni, decreta “che si renda universale lo Stendardo o Bandiera Cispadana di Tre Colori Verde, Bianco, e Rosso, e che questi tre Colori si usino anche nella Coccarda Cispadana, la quale debba portarsi da tutti”. Ma perché proprio questi tre colori? Nell’Italia del 1796, attraversata dalle vittoriose armate napoleoniche, le numerose repubbliche di ispirazione giacobina che avevano soppiantato gli antichi Stati assoluti adottarono quasi tutte, con varianti di colore, bandiere caratterizzate da tre fasce di uguali dimensioni, chiaramente ispirate al modello francese del 1790.
Nei tre decenni che seguirono il Congresso di Vienna, il vessillo tricolore fu soffocato dalla Restaurazione, ma continuò ad essere innalzato, quale emblema di libertà, nei moti del 1831, nelle rivolte mazziniane, nella disperata impresa dei fratelli Bandiera, nelle sollevazioni negli Stati della Chiesa.
Dovunque in Italia, il bianco, il rosso e il verde esprimono una comune speranza, che accende gli entusiasmi e ispira i poeti: “Raccolgaci un’unica bandiera, una speme”, scrive, nel 1847, Goffredo Mameli nel suo Canto degli Italiani.
E quando si dischiuse la stagione del ’48 e della concessione delle Costituzioni, quella bandiera divenne il simbolo di una riscossa ormai nazionale, da Milano a Venezia, da Roma a Palermo. Il 23 marzo 1848 Carlo Alberto rivolge alle popolazioni del Lombardo Veneto il famoso proclama che annuncia la prima guerra d’indipendenza e che termina con queste parole:”(…) per viemmeglio dimostrare con segni esteriori il sentimento dell’unione italiana vogliamo che le Nostre Truppe(…) portino lo Scudo di Savoia sovrapposto alla Bandiera tricolore italiana.”
Allo stemma dinastico fu aggiunta una bordatura di azzurro, per evitare che la croce e il campo dello scudo si confondessero con il bianco e il rosso delle bande del vessillo.
A quest’ultima informazione aggiungo che l’azzurro, oltre a delimitare meglio lo stemma savoiardo, era anche il colore ufficiale del casato stesso. Dove lo ritroviamo? Nelle favole: il Principe Azzurro, infatti, deve questo nome ai Savoia (nelle tradizioni nordiche il principe è invece “affascinante” – Prince Charming). Nella birra: Nastro Azzurro Peroni, che a me non piace perché è troppo gassata. Nelle uniformi delle nazionali sportive del nostro paese, appunto “gli azzurri”.
Ironia della sorte: la nazionale francese è vestita di un colore non così differente: il blu. Ecco perché gli sportivi d’oltralpe sono noti come “les bleus“.
Per quello che riguarda i motti nazionali, quello francese non ha bisogno di presentazioni, sennonché ho notato una spaventosa ignoranza tra gli italiani riguardo l’ordine preciso delle tre parole. Si dice “liberté, égalité, fraternité”, e tutti gli altri miscugli e variazioni sul tema sono fasulli. Diffidate delle imitazioni.
Ma qual è il nostro motto? Non ce l’abbiamo. In passato era valido quello di casa Savoia, ovvero “FERT”, sulla cui origine si elucubra molto. In genere viene interpretato come un acronimo di varie frasi in latino inneggianti alla forza, a Torino, a Roma eccetera eccetera.
La Repubblica Sociale Italiana, nella sua brevissima vita, si fregiò del motto “Per l’onore d’Italia”.
Anche le repubbliche hanno degli stemmi, degli emblemi. Quello italiano, disegnato da paolo Paschetto, è composto di vari elementi ed è così spiegato dal sito ufficiale del Quirinale:
L’emblema della Repubblica Italiana è caratterizzato da tre elementi: la stella, la ruota dentata, i rami di ulivo e di quercia.
Il ramo di ulivo simboleggia la volontà di pace della nazione, sia nel senso della concordia interna che della fratellanza internazionale.
Il ramo di quercia che chiude a destra l’emblema, incarna la forza e la dignità del popolo italiano. Entrambi, poi, sono espressione delle specie più tipiche del nostro patrimonio arboreo.
La ruota dentata d’acciaio, simbolo dell’attività lavorativa, traduce il primo articolo della Carta Costituzionale: “L’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro”.
La stella è uno degli oggetti più antichi del nostro patrimonio iconografico ed è sempre stata associata alla personificazione dell’Italia, sul cui capo essa splende raggiante. Così fu rappresentata nell’iconografia del Risorgimento e così comparve, fino al 1890, nel grande stemma del Regno unitario (il famoso stellone); la stella caratterizzò, poi, la prima onorificenza repubblicana della ricostruzione, la Stella della Solidarietà Italiana e ancora oggi indica l’appartenenza alle Forze Armate del nostro Paese.
La Francia non ha un emblema ufficiale, ma utilizza un logo complessivo di motto, bandiera e Marianne, l’allegoria della nazione, la nota fanciulla con cappello frigio, coccarda blubiancarossa e seno scoperto. Eugène Delacroix l’ha raffigurata nel suo dipinto “La libertà che guida il popolo”.
La nostra versione allegorica è chiamata Italia Turrita. I filatelici la conoscono bene, perché in passato veniva raffigurata spessissimo sui francobolli. Io stessa ne ho a bizzeffe, di Italie Turrite, con stampato in faccia le date di spedizione di lettere e pacchi.
La pagina di Wikipedia riguardante questa figura è ricca di dettagli e cita fonti interessanti a cui io stessa faccio riferimento: potete leggere qui e qui per avere spiegazioni esaustive.
In breve, la fanciulla che la rappresenta ha i tipici tratti mediterranei: mora, giunonica e dalla pelle olivastra. In testa porta una corona a forma di cinta muraria e in mano un fascio di spighe, per la fertilità, o una spada, per la forza, o una bilancia, per la giustizia. A seconda delle necessità iconografiche, dunque, l’oggetto portato in mano può variare.
Dopo questo excursus storico, araldico e iconografico non mi resta che augurare a tutti i miei compatrioti un buon due giugno. Agli italiani all’estero dico: forza e coraggio, lo so che oggi lavorate e che non è giorno di festa, ma tanto il primo articolo della nostra costituzione dice che la Repubblica Italiana è fondata sul lavoro, quindi vedete che gli stiamo facendo onore.
E a tutti i non italiani che riescono a leggere il mio blog dico di fare un salto dalle nostre parti, perché tutti i paesi del mondo sono belli, ma l’Italia è più bella, perché è a forma di scarpa. E le scarpe sono la parte più importante nell’abbigliamento di una persona.


