Maria de’ Medici e Concino Concini, politica all’italiana, trono francese.

Continua il racconto della presenza toscana in Francia, più precisamente quella medicea. Dopo la Regina Nera Caterina, è il momento di orientare lo sguardo su Maria de’ Medici (Firenze, 1575 – Colonia 1642) e sulle sue vicende alla corte di Francia.
La famiglia fiorentina da cui discendeva era nota in tutta Europa per la grande ricchezza: i Medici, alla base, erano una dinastia di banchieri a cui spesso le casate reali facevano ricorso in caso di problemi economici. I reali di Francia erano tra questi, e il matrimonio tra Maria ed Enrico IV “cadde proprio a fagiolo”: la dote della sposa fu infatti utilizzata per annullare il debito contratto coi fiorentini dai Borbone.
Si maritò proprio con quell’Enrico che riuscì ad avere il trono di Francia affermando quantomai filosoficamente che “Parigi val bene una messa”. Già, perché qui ci si ricollega ai fatti che insanguinarono le terre d’Oltralpe nel ‘500 e nel primo ‘600, quando le guerre di religione e le dispute tra casate per la corona divisero il paese e sconvolsero l’Europa, di cui ho parlato ampiamente nell’articolo dedicato a Caterina.

Lo sposalizio fu celebrato per procura nel 1600, richiedendo diversi mesi tra contratti, cerimonie, messe, incontri e prima notte di nozze, che sembra esser stata più che soddisfacente per entrambe le parti. In generale fu un matrimonio tempestoso, di quelli in cui le scenate di gelosia, i piatti tirati in testa e i drammi non mancano mai, ma secondo gli storici è indubbio che i due nutrirono un forte affetto l’uno per l’altra. Resta innegabile che Enrico fosse un gran farfallone, legato ad un’amante in particolare, Henriette d’Entragues, dalla quale ebbe diversi figli illegittimi. Successivamente si dedicò alla giovane Charlotte de Montmorency, ma alla resa dei conti la posizione a corte della sovrana medicea fu assicurata dalla grande prolificità dell’unione reale: sei figli in totale, tre maschi e tre femmine, che assicurarono senza ombra di dubbio la discendenza della corona. Conferma di tale posizione solida per Maria de’ Medici giunse il 12 maggio 1610, quando finalmente fu incoronata regina di Francia all’abbazia di St. Denis. Prima di allora il re aveva sempre tentennato a riguardo, ma la pazienza della de’ Medici fu infine ricompensata.
Giusto in tempo, viene da dire, visto che il giorno dopo la cerimonia di incoronazione, Enrico IV fu ucciso da un fanatico cattolico di nome François Ravaillac. Questo personaggio è piuttosto interessante: respinto da diversi ordini religiosi, fomentato dagli ambienti cattolici parigini che accusavano il re di essersi convertito per opportunismo, il Ravaillac pugnalò a morte Enrico IV mentre questi si dirigeva in carrozza alla Bastiglia. Giorni di torture per estorcergli i nomi di complici o altre informazioni finirono con la condanna a morte per squartamento. Sorvolo sui dettagli.

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Maria de’ Medici ritratta da Rubens

Maria de’ Medici fu investita dalle conseguenze di questi fatti: ufficialmente regina reggente di Francia, in attesa che il figlio primogenito Luigi giungesse all’età giusta per salire sul trono, dovette gestire una situazione per la quale era del tutto impreparata. Italiana cattolica, non c’è da stupirsi se, una volta prese le redini del governo, condusse una politica estera di stampo filocattolico, indirizzata specialmente a stabilizzare i rapporti con la Spagna. Fu così grande il suo impegno in tal senso che fece in modo che suo figlio primogenito, il futuro re Luigi XIII, sposasse una principessa asburgica (allora la dinastia degli Asburgo aveva le mani in pasta sia nella penisola iberica sia nei paesi germanici). Furono quindi celebrate le nozze tra Luigi e Anna d’Austria, la cui coppia costituirà il centro attorno cui gravitano le vicende dei tre moschettieri Athos, Porthos e Aramis e del cadetto D’Artagnan nel celebre romanzo di Alexandre Dumas (e che, come avrete capito, è uno dei miei preferiti). La fille de France Elisabetta, invece, andò in sposa al futuro re di Spagna, l’infante Filippo.

Tornando a Maria de’ Medici, va sottolineato che la sua reggenza fu, a detta degli storiografi, di polso debole. Questo è dovuto con ogni probabilità al tipo di consiglieri di cui la sovrana si circondò. Tra questi si ricorda un italiano, più precisamente toscano, Concino Concini (Terranuova Bracciolini, 1569 – Parigi, 24 aprile 1617), che condizionò pesantemente gli anni della reggenza medicea, se non altro perché, grazie alla sua influenza e alla sua ingente ricchezza, avallò l’ascesa politica di un suo protetto, un tale Armand du Plessis, che tutti conoscono come Cardinale di Richelieu. Per proprietà transitiva, la stessa Maria de’ Medici sostenne il du Plessis, forse anche in un disperato tentativo di mantenere la reggenza tra sue mani: la politica interna della sovrana, infatti, fu un completo fiasco sotto ogni punto di vista, visto che l’aristocrazia francese si opponeva fortemente alla reggente e che le tensioni tra ugonotti e cattolici erano tornate ad infiammare la Francia. Luigi, nel frattempo, era diventato maggiorenne e re a tutti gli effetti. Mal sopportava di essere ancora tenuto in disparte dagli affari del regno e, come narrano diverse penne, pare che non fosse stimato capace di buon governo dalla madre, la quale non faceva mistero di preferire spassionatamente Gaston. Inoltre Luigi XIII era messo in disparte anche dal prepotente Concini, che desiderava avere campo libero per le sue manovre politiche. Maria e Concini, i due italiani, stavano perdendo punti nei sondaggi d’opinione, diremmo oggi, e diversi ministri, tra cui Richelieu, sentendo nell’aria odor di tempesta, diedero le loro dimissioni.

Riporto qui di seguito quanto spiegato nel dizionario bibliografico online di Treccani, una fonte di notizie preziosa e di indubbia attendibilità, nonché di piacevolissima lettura.

Nel corso del 1617, in un contesto politico sempre più cupo, Luigi XIII maturò il progetto di liberarsi di Concini. La questione fu più volte discussa con Luynes e con M. Déageant, un burocrate al servizio di Maria come collaboratore del controllore generale Barbin, ma non si riuscì a elaborare un piano credibile per realizzare quello che era un vero e proprio colpo di Stato. Finalmente, alla fine di marzo si decise di tentare l’arresto di Concini durante una delle sue visite al Louvre, affidando l’incombenza al capitano delle guardie, Nicolas de l’Hôpital, duca di Vitry. Maria ebbe qualche notizia delle frequenti riunioni che si tenevano nelle stanze di Luigi XIII ma, ancora una volta, sottovalutò il figlio e non riuscì a intuirne i progetti.

La mattina del 24 apr. 1617 Concini stava entrando al Louvre quando fu affrontato da Vitry e dai suoi che, di fronte a un accenno di reazione, lo uccisero. Al momento dell’uccisione di Concini, Maria si trovava nelle sue stanze e nel giro di pochi minuti ricevette la notizia. Dopo qualche ora di smarrimento cercò di ottenere udienza da Luigi XIII, ma questi rifiutò di riceverla e la confinò nei suoi appartamenti.

L’eliminazione di Concini rappresentò uno spartiacque nella storia francese. L’ossessione di liberarsi del favorito aveva tanto occupato le menti di Luigi XIII e di Luynes che non si era pensato alle basi su cui impiantare un nuovo regime. Anche la sorte di Maria appariva incerta. Sotto molti aspetti, l’esecuzione di Concini era un «matricidio per interposta persona», ma per Luigi XIII M. rimaneva una figura psicologicamente e politicamente ingombrante e non era facile immaginare una via indolore per allontanarla dal potere. Già nei mesi precedenti il sovrano e i suoi collaboratori avevano individuato come unica soluzione praticabile relegare Maria all’interno del territorio francese, ma i dettagli pratici di un simile progetto non erano mai stati definiti.

Il cadavere fece una fine bislacca: impiccarono la salma, la seppellirono, qualche giorno dopo la riesumarono, la fecero a pezzi, la bruciarono e le ceneri furono vendute al chilo. Rocambolesco quasi quanto l’assassinio di Rasputin.

Maria de’ Medici si trovava in una situazione precaria, tanto più che Luigi si rifiutava perentoriamente di incontrarla e la fece confinare come una prigioniera a Blois, insieme alla sua cricca di consiglieri italiani, guardata a vista da soldati e col divieto di lasciare il castello dove soggiornava. Divieto che ignorò deliberatamente, evadendo il 22 gennaio del 1619 ed iniziando una campagna diffamatoria contro i ministri reali. Una vera e propria ribellione fomentata dalla regina madre, che si prolungò fino al 1620, quando le truppe reali ebbero la meglio sui rivoltosi a Points de Cé.

La vicenda di Maria de’ Medici proseguì con una forte sterzata a quella che sino ad allora era stata la sua rete di alleanze: Richelieu, giunto a corte grazie alla sovrana e al suo consigliere Concini, le si rivoltò contro, specie sul piano della politica estera, diventando un potentissimo avversario che, sul lungo termine, le impedì il ritorno ufficiale ad una posizione di potere a Palazzo, concentrando il governo ufficialmente nelle mani del re, ma ufficiosamente intessendo trame e piani che portarono a lunghi anni di controllo cardinalizio sul regno di Francia. Il tutto culminò il giorno 11 novembre 1630, noto come journée des dupes. Di nuovo riporto quanto dice la Treccani in proposito:

In quel giorno Luigi XIII si recò da Maria, al palais du Luxembourg, ed ebbe con lei un colloquio tempestoso. Dopo aver ingiuriato la sua dama di compagnia, Marie-Madeleine de Vignerod duchessa d’Aiguillon, nipote di Richelieu, Maria ripeté al figlio, che rimase in silenzio, tutte le sue lamentele contro Richelieu e ne chiese il licenziamento. Al colmo della sfuriata, il cardinale entrò nella stanza attraverso un passaggio secondario. La sua improvvisa comparsa provocò una vera e propria crisi di nervi di Maria, che accusò Luigi XIII di preferire un servitore alla propria madre, e un crollo psicologico dello stesso Richelieu. Luigi XIII pose termine all’incresciosa situazione ordinando a Richelieu di ritirarsi e, poco dopo, rientrò nei suoi alloggi. Nelle ore successive si verificò una vera e propria commedia degli equivoci. Maria ritenne di aver vinto la partita e che Richelieu sarebbe stato presto sostituito da Michel de Marillac, mentre il cardinale si attendeva di essere licenziato o imprigionato. Ma non andò così. A sera Luigi XIII chiamò Richelieu, gli riconfermò la sua fiducia e gli comunicò di aver disposto l’arresto di Marillac. Retrospettivamente, Maria sostenne che, se solo avesse sbarrato le porte dei suoi appartamenti, Richelieu non avrebbe avuto scampo; questa tesi è stata fatta propria da molti dei suoi biografi ma appare, nondimeno, poco credibile. Di fatto, Luigi XIII aveva da tempo fatto una scelta di campo piuttosto netta e, sebbene restio a rompere con la madre, non era disposto a rinunciare al più abile dei suoi ministri e a consegnarsi nelle mani del partito devoto. In questo senso, appare eloquente il silenzio che il re mantenne durante il colloquio. Infastidito dalla mancanza di dignità dimostrata da Maria, Luigi XIII soppesò le sue proposte, ma prese una decisione solo in un momento successivo, rifiutando di assumere qualsiasi impegno.

Maria fuggì, rifugiandosi nei Paesi Bassi spagnoli. L’esilio, da quel momento in poi, fu definitivo. Non che si fosse data per vinta: passò il resto della sua esistenza a cercare di spodestare Richelieu dal suo ruolo alla corte, sebbene questi tentativi, fatti a distanza, non sortirono alcun effetto. Nemmeno quando Gaston attaccò l’esercito regolare, in un nuovo impeto di ribellione, Maria riuscì nei suoi intenti. Passò da una città all’altra: Bruxelles, Anversa, Spa, Londra… era un’ospite ingombrante, perché non amata dalla corte francese e quindi una presenza scomoda a casa di chiunque contasse sullo scacchiere d’Europa. Finì i suoi giorni a Colonia, da dove orchestrò l’ultima congiura contro il gran cardinale, che come tutte le altre si risolse in un nulla di fatto.
Treccani dice:

 Il fallimento di quest’ultimo tentativo di abbattere il suo grande nemico coincise con la fine della vita di Maria, che morì a Colonia, dopo una breve malattia, il 4 luglio 1642, seguita nel giro di alcuni mesi da Richelieu e, il 14 maggio 1643, da Luigi XIII.

Alle volte la morte di un arcinemico è quasi peggiore della dipartita di un amico: può far cessare la ragion d’essere, come se si fosse solo in quanto contrastanti; è l’opposizione a definire e non l’esistenza stessa. Maria de’ Medici e Richelieu ne sono stati un perfetto esempio.

 

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