Riflessione personale e introduzione ai prossimi articoli

Prendete una qualsiasi strada europea.
Aprite un libro di storia a caso.
Andate in un museo qualunque.

Quanti nomi femminili vi si trovano?

A me questa cosa ha sempre dato sui nervi, perché sono femminista.
Tuttavia, mi pregio di esserlo non nel modo fazioso e aggressivo che tutti collegano quasi automaticamente alla parola “femminista”. Non abbiate paura.
Io sono per l’abbattimento degli stereotipi di genere, e per me un uomo che piange nel guardare “Million dollar baby” non è meno uomo di uno che passa la domenica ad inveire davanti alla partita di calcio (anche se, sicuramente, accetterei di più un invito a cena dal primo che dal secondo, ma è un mio gusto personale). Allo stesso modo, una donna che guida il camion non è meno donna di una che sfila in passerella per Chanel.
Ecco perché, nel rileggere i miei precedenti scritti e nel rendermi conto che, purtroppo, i protagonisti di cui scrivo sono per la maggior parte uomini, ho deciso di dedicare una serie di articoli alle donne. Anche questa, se proprio si vuole andare a guardare nel dettaglio, è una manovra sessista, di per sé, perché è come se volessi dare il contentino al mio stesso genere. Ebbene, non è così, anche perché odio profondamente i contentini e tutte le cose corredate dalla definizione “in rosa”, “al femminile”, “declinato al femminile”, “secondo lei”. Andatevene a quel paese, voi e il rosa.

Il mio augurio è che, tra cento anni, una ragazza italiana che si sia trasferita in Francia per amore, scriva un blog simile al mio e che parli di tanti uomini quante donne, non perché si senta investita di una missione umana per promuovere la parità dei generi e abbattere le barriere che ci costringono in ruoli delimitati dalle convenzioni sociali, ma perché non vi sia più il bisogno di sottolineare una cosa che sin dall’alba dei tempi avrebbe dovuto essere chiara alla Natura tutta: che uomini e donne sono uguali e che, sebbene nominalmente in molti paesi occidentali godano degli stessi diritti, nell’atto pratico la cosa non avviene. Fino a che il comportamento sessuale (fatta eccezione per chi usa violenza verso persone di ogni genere ed età) degli esseri umani sarà usato come discriminante per determinarne il valore e i limiti dell’essere, la parità dei generi non sarà raggiunta. Fino a che i comportamenti accettabili da un essere umano saranno una variabile dipendente dai loro cromosomi, la parità dei generi non sarà raggiunta.
Fino a che il victim blaming sarà una pratica corrente nelle nostre società, e si continuerà ad additare la vittima (uomo o donna che sia, perché sì, anche gli uomini subiscono abusi sessuali, e non sempre da parte di persone del loro stesso sesso) al posto dell’aggressore, la parità dei generi non sarà raggiunta.
Fino a che chi pratica la prostituzione sarà guardato con disgusto, la parità dei generi non sarà raggiunta.

Quo usque tandem?

 

4 pensieri su “Riflessione personale e introduzione ai prossimi articoli

  1. Qualche giorno fa ho letto di Ipazia e di Raffaello che andò contro la chiesa per includerla nella “Scuola di Atene”. Forse oggigiorno avremmo bisogno di più personaggi come lui per far prevalere l’idea di un mondo meno sessista. Articolo molto interessante 🙂

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  2. Che bello leggere questo articolo.Per ottenere un mondo migliore,o,perlomeno avvicinarci,a qualcosa di simile,basterebbe far leggere questo blog in classe,ai nostri studenti,la futura classe dirigente di questo Paese.Magari,dopo una discussione in classe,con i nostri insegnanti,qualcosa potrebbe cambiare.Basterebbe,farlo capire ad una persona,già sarebbe una vittoria.Complimenti

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