Ah, Parigi! Una foto al Moulin Rouge, una sbirciata di qua e di là a Montmartre, un’occhiata alle Folies Bergères e magari un souvenir coquin da Pigalle, perché, anche se si è già stati ad Amsterdam e si sono viste le famose vetrine e i peep show, niente può competere con la classe del quartiere a luci rosse della ville lumière! Ma che mi dite dei cafès maudits?
Prima che andiate a sfogliare febbrilmente la vostra guida Lonely Planet alla ricerca di questi cabaret, lasciate che vi rassicuri, non li troverete. La ragione è assai semplice: non esistono più. E se vi dico perché, piangerete con me: il Cabaret de l’Enfer ed il suo speculare Cabaret du Ciel furono demoliti negli anni ’50 per far spazio al supermercato Monoprix. Sorgevano su Boulevard de Clichy, la via sulla quale sbucate quando uscite dalla fermata del metro Pigalle ed entrambi nacquero dalla fantasia di un uomo chiamato Antonin Alexandre.

Per entrare ne l’Enfer, ci si doveva avventurare nella bocca del leviatano: la porta d’entrata, infatti, era foggiata a guisa di fauci del pesce-cane biblico, melvilliano e pinocchiesco. Ecco una foto per voi, pescata dal web e ricavata, evidentemente, da una cartolina d’epoca:

Come si può leggere nella didascalia, era un “café artistique“: aperto nel 1892, fu uno dei primi locali a tema, in cui il proprietario offriva un’atmosfera e un intrattenimento circoscritti ad un argomento ben specifico. Trucchi di magia, personale mascherato, statue di dannati in preda alle più tremende pene, diavoli acrobati sospesi su trapezi attaccati al soffitto, diavolesse accompagnate da fiamme e fuochi… al cabaret infernale si era accolti da Mefistofele in persona, che offriva un assaggio di quello che si sarebbe trovato nel suo Regno se, una volta deceduti, la propria anima fosse stata condannata alla dannazione eterna. La musica doveva essere in accordo con la spaventosa atmosfera del locale e così il menù a disposizione degli avventori.


Accanto, nel Cabaret du Ciel, erano San Pietro o un sacerdote che fungevano da maestri di cerimonia, accogliendo gli ospiti tra angeli, cherubini, spruzzi d’acqua “benedetta”, quadri viventi di paradisiaca beatitudine, mise en scène di passi del Paradiso dantesco, il tutto accompagnato da celestiale musica d’arpa. Ca va sans dire che molti dei numeri delle esibizioni paradisiache includevano ballerine e ballerini molto belli e (s)vestiti in modo provocante.
I café furono spostati di qualche numero civico – dal 34 al 53 – pochi anni dopo la loro apertura, e al 53 rimasero fino alla sventurata fine che la grande distribuzione fece loro fare. Nel vecchio emplacement, un concorrente di Antonin Alexandre, tale Roger, affiancato dall’illusionista Dorville, aprì un altro cabaret a tema, chiamato il Cabaret du Néant, assai più sinistro, molto meno goliardico degli altri due. Il personale era vestito da croque-mort o da scheletro, i tavoli erano delle bare, i candelieri fatti con ossa umane (sic!), i calici in cui si potevano consumare le bevande (devo proprio specificare che si trattava di assenzio?) avevano forma di cranio, gli spettacoli di illusionismo erano paurosi, e, sembra, molto ben fatti. Il locale fu addirittura citato in riviste scientifiche per l’alto livello di un effetto illusorio chiamato fantasma di Pepper.

Ora che siete venuti a conoscenza dell’esistenza di questi tre locali niente male, il Mouin Rouge vi sembra noioso, vero?
Per approfondire:
F Is for France: A Curious Cabinet of French Wonders, di Marie Eatwell;
The awesomely insane Heaven and Hell nightclubs of 1890s Paris;
Bohemian Paris of to-day, di W.C. Morrow;
Chronicles of Old Paris: Exploring the Historic City of Light, di John Baxter;
Il sempre favoloso sito Bizzarro Bazar!
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