Madame Tussaud, la donna dietro le cere

Sì, lo sappiamo: andare a Londra e non fare nemmeno una capatina al museo delle cere è una vergogna. Ma se invece di parlare della statua di Elvis o di Maria Antonietta parlassimo della donna a cui il museo è intitolato?

Già, perché Madame Tussaud non era affatto britannica, come il nome rivela. Era francese! E la sua vita è degna di essere raccontata.

Si chiamava Anne-Marie Grosholtz ed era nata in Alsazia nel 1761. Figlia postuma a causa della Guerra dei Sette Anni, Anne-Marie fu cresciuta dalla madre, Anne Made, la quale, dopo esser rimasta vedova decise di lasciare Strasburgo per andare a servizio in casa di un noto medico svizzero di Berna, tale Philippe Curtius.

Mme Tussaud

Costui insegnava anatomia agli studenti e, a tal fine, si serviva di modellini di cera molto accurati, come quelli che si possono vedere nelle wunderkammer degli appassionati di questo genere di artefatti, o nei musei anatomici delle facoltà di medicina. Era una pratica assai comune, al tempo. Il dottor Curtius, dal canto suo, non solo li usava nelle sue lezioni, ma addirittura li fabbricava lui stesso. Anne-Marie, orfana di padre, si affezionò al datore di lavoro della madre, e lui la prese a benvolere, tanto da iniziare ad insegnarle la pratica della scultura con la cera. Curtius pare fosse uno scultore proprio bravo, così bravo che, alla fine, cavalcando l’onda del suo successo come artista, decise di lasciar perdere la medicina: si stabilì a Parigi dove aprì il suo cabinet des cires e iniziò una carriera come scultore. Il successo fu grande. Modellò addirittura il ritratto di Madame du Barry, non so se mi spiego…

Anne-Marie e la madre lo seguirono nella capitale francese. Il clamore delle opere di Curtius era tale che furono organizzate mostre delle sue statue addirittura al Palais-Royal. Ad accompagnarlo nella sua celebrità parigina c’erano sempre Anne-Marie e sua madre. La giovane Anne-Marie divenne la fidata assistente di Curtius, dimostrando un autentico talento nel modellare i ritratti di Voltaire, Rousseau e Benjamin Franklin. La fama della sua bravura arrivò fino alla corte di Versailles, presso cui, a quanto affermava lei stessa, fu un’habituée per diversi anni.

Ma il vento della rivoluzione soffiava turbolento. Nelle sue memorie, che sembrano essere non poco romanzate, Anne-Marie afferma di essere stata arrestata in quanto simpatizzante della monarchia. Sembra che il delatore sia stato un artista rivale di Anne-Marie, tale Jacques Dutruy, assistente del boia (curioso questo particolare, visto che, secondo fonti storiche abbastanza solide, il padre di Anne-Marie discendeva da una stirpe di boia alsaziani…). Fu incarcerata, sempre secondo il suo mémoir, nella stessa cella di Josephine de Beauharnais e venne fatidicamente liberata a due passi dalla ghigliottina (pare che le fossero già stati tagliati i capelli per decapitarla) grazie all’intervento di Jacques-Louis David, collega artista. I rivoluzionari la misero allora a preparare le maschere mortuarie di grandi personaggi che finivano col collo mozzato. Tra i tanti che Anne-Marie ritrasse possiamo citare almeno tre nomi più che celebri: Marat, Robespierre e perfino Maria Antonietta.

La vecchia madame Tussaud

La vita aveva altre cose in serbo per Anne-Marie. Quando Curtius morì, lasciò a lei l’integralità della sua collezione di cere. L’anno seguente la donna si sposò e assunse il nome con cui è passata alla storia: Madame Tussaud. Dall’unione col marito nacquero due figli.

Nel 1802 attraversò la manica accompagnata dal figlio maggiore, accettando l’invito di un prestigiatore in voga all’epoca, Paul Philidor, un pioniere degli spettacoli fantasmagorici. Philidor voleva che Madame Tussaud esponesse le sue opere nell’ambito dei suoi spettacoli e le propose di entrare in società. Questo business, purtroppo, non si rivelò molto remunerativo per Mme Tussaud: Philodr teneva per sé gran parte dei benefici delle mostre e degli spettacoli, tanto da spingerla a ritirarsi dalla fantasmagoria e tentare una strada rischiosa ma assai stimolante: mettersi in proprio. Con la sua vasta collezione di statue, maschere mortuarie e ritratti di criminali viaggiò in lungo e in largo per le isole britanniche, riscuotendo un grande successo per ben tre decenni. Non fece più ritorno in Francia, perché gli anni trascorsero veloci e l’astro fulgido di Napoleone iniziò ad oscurare la stella navale britannica. La situazione degenerò, deflagrando in quelle che sono note come ‘guerre napoleoniche’. Già che c’era, forse, era meglio rimanere in Gran Bretagna…

Nel 1821, finalmente, Mme Tussaud fu raggiunta anche dal figlio minore. Quest’ultimo era stato dato per disperso in mare cinque anni prima. Grande fu il sollievo della donna che, con rinnovato vigore, si mise a lavorare aiutata dai due discendenti: dopo trentacinque anni di vagabondaggi in giro per la Gran Bretagna era giunto il momento di progettare una grande mostra permanente delle sue cere. Londra era il luogo ideale e la via che scelse fu proprio Baker Street (sì, vicino all’appartamento di Sherlock e Watson). In effetti, la primissima mostra di Madame Tussaud aprì i cancelli al secondo piano del Baker Street Bazaar… di fatto non lontano dall’indirizzo attuale, a Marylebone, dove fu trasferita dal nipote Joseph Randall Tussaud nel 1884.

Madame Tussaud morì nel sonno, a Londra, all’età di 88 anni. Alcune delle sue statue di cera esistono ancora, e si trovano proprio in quel museo che tutti vanno a visitare nei loro week-end londinesi.

Che ne dite… valeva la pena leggere la sua storia?

Pillola: il fil rouge che parte da Parigi e arriva a Panama

Ho da poco scoperto che Parigi, oltre ad essere soprannominata in modo un po’ trito, la ville lumière, è anche detta Paname.

Che stregoneria è mai questa?

Sono andata a cercare di qua e di là e, sebbene da nessuna parte si trovi una risposta certa, è pacifico che ci sia di mezzo il canale di Panama. La versione più accreditata, infatti, è quella data dal giornalista e storico Claude Dubois: verso la fine del XIX secolo, si iniziarono i lavori per la costruzione del canale di Panama. Gli operai addetti agli scavi usavano questo copricapo per proteggersi dal sole cocente, ma grazie al presidente americano Roosevelt, in visita al sito di scavo, il panama fu sdoganato anche nell’alta società e divenne un accessorio di moda. Questa voga giunse fino a Parigi, dove tutti portavano il panama per sentirsi à la page. La capitale francese divenne quindi la città del cappello panama, la capitale dell’eleganza e della fatuità.

C’è un’altra versione, meno frivola, che invece imputa l’origine di questo soprannome allo scandalo finanziario legato al canale di Panama e alle conseguenze che ebbe sulla borsa di Parigi. Addirittura Clemenceau e Eiffel ne furono gravemente danneggiati… chiamare Parigi Paname diventa allora una sorta di punizione per l’affaire che fece quasi crollare l’economia francese.

Quale che sia l’origine di Paname, non resta che sederci sul divano, chiudere gli occhi e ascoltare la canzone di Léo Ferré…

Unbekannt, ‘Scavo del canale di Panama’, 1888

‘Cherchez… l’étymologie’

L’etimologia è… la genealogia delle parole! Lo scienziato etimologo traccia gli alberi familiari dei lemmi di una lingua e, così facendo, come un Poirot che dal suo sofà faccia lavorare le celluline grigie bevendo una cioccolata calda, risolve misteri semantici e scova i bandoli delle matasse, le fila di misfatti e delitti linguistici persi nelle nebbie della storia. Una cosa davvero eccitante!

Di seguito De amore gallico vi presenta alcune parole che ormai fanno parte della lingua italiana e che usiamo con larga disinvoltura, ma che hanno tracce più o meno evidenti di francese nel loro DNA. I termini qui spiegati li trovate, assieme a molti altri, nel libro ‘Perché ci piacciono le parole’, di Giorgio Moretti, co-fondatore, insieme a Massimo Frascati, e principale autore del sito ‘Una parola al giorno’. Lo potete acquistare qui insieme a molti altri libri di UPAG.

Bisturi: questa parola è letteralmente andata e ritornata. Deriva infatti dal francese bistouri, che anticamente designava un mero pugnale. La parola arrivò oltralpe tramite l’italiano settentrionale pistorino, che significava una lama forgiata a Pistoia. In effetti, la città toscana, durante l’età di mezzo, era famosa su scala internazionale per la manifattura di armi bianche. Tra le più conosciute e apprezzate c’era il pugnaletto fine e lungo detto ‘pistolese’. Come è scritto nel libro: ‘Passato in Francia attraverso il nord Italia, si è portato dietro il nome di Pistoia via via sempre più alterato, finché già nel Settecento non ha iniziato a rientrare col significato di coltello operatorio. Praticamente inimmaginabile’.

Silhouette: il famoso ritratto, essenziale e di gran gusto, ma anche la forma fisica da figurino dopo una dieta ferrea devono il loro nome a Monsieur Etienne de Silhouette, Controllore Generale delle finanze del Re Luigi XV. Visse tra il 1709 e il 1767 e tentò vanamente di arginare le spese folli del sovrano, che in quanto a lusso e amore per lo sfarzo non aveva niente da invidiare al suo predecessore, il Re Sole. Silhouette cercò di imporre tagli e tasse, si fece fama di radin e divenne subito antonomasia di uno stile sobrio, financo povero. Ecco perché i ritratti che andavano di moda all’epoca, in cui era tratteggiato solo il profilo della persona, vennero detti, per giuoco, portraits à la Silhouette. Insomma, un ritratto degno di un gran tirchio!

Galoppino: deriva dal nome di un personaggio delle chansons de geste medievali. Galopin era il messaggero, quello che correva di qua e di là per tutto il poema, destreggiandosi tra tante difficoltà grazie alla sua arguzia e alla sua vivacità. Di quel Galopin, oggi, al galoppino è rimasto solo l’esser pieno di faccende da fare, il correre in giro eseguendo tutte le mansioni meno apprezzabili per conto di qualcuno. Uno zerbino, un portaborse, un assistente tuttofare, insomma.

Omaggio: oggi siamo abituati ai cataloghi dei punti del supermercato, terminati i quali riceviamo pentole e stoviglie in omaggio, ma la nascita di questa parola ha una dignità ben più alta. Viene dal francese antico homage e deriva da… homme. Uomo. Non era un regalo, ma una cerimonia, quella durante la quale un signore assegnava un feudo ad un vassallo. Il nobile concedeva la terra, i privilegi e gli onori e il ricevente giurava davanti a Dio e agli uomini di essere suo fedele servitore, di essere il suo uomo e di mantenere il giuramento con tutte le sue forze.
Col tempo questa cerimonia così specifica, l’omaggio, passò a designare più in generale atti di ossequi e di deferenza, e quindi anche il dono che li accompagnava.

L’antenato dei sommelier

Sommelier: potremmo definirla la più francese di tutte le parole, visto che si attaglia ad un ruolo importantissimo nella cultura gallica, quello dell’intenditore di vini, colui che li conosce, li sa distinguere, gustare, giudicare, consigliare a chi, invece, non ci capisce un’acca. Ma sebbene sembri così terribilmente nobile, essa nasconde sotto gli strati ultra-chic delle etichette di vini pregiati un’origine umilissima. Propriamente significa ‘conduttore di bestie da soma’ e nell’antico provenzale si diceva saumalier. Somariere. Nelle corti itineranti del medioevo, in cui il re con lo stuolo di cavalieri, compagni d’arme, cortigiani e servitori andava in lungo e in largo per il regno, il somariere era nientemeno che un vero e proprio ufficiale, quello addetto ai bagagli di corte, un ruolo importante perché la logistica al tempo era cosa alquanto complicata. Quando poi i sovrani si stabilirono permanentemente nei palazzi e la rozza nobiltà medievale si trasformò nella raffinatissima corte dell’ancien régime, i somarieri abbandonarono armi e bagagli per trasferirsi nelle cucine e nelle cantine, occupandosi delle riserve di vino, di cibo e organizzando le squadre di coppieri, di camerieri, curando la tavola. Solo nell’Ottocento il sommelier si ritirò dal campo gastronomico, lasciando spazio allo chef nelle cucine e barricandosi in cantina, tra le botti e le bottiglie, per specializzarsi nell’ambito enologico.

Se questo argomento vi è piaciuto, vi invito ad iscrivervi alla newsletter di UPAG, Una parola al giorno: tutte le mattine col caffè vi arriveranno mail in cui una parola della nostra lingua verrà sviscerata, approfondita, commentata e analizzata con rigore scientifico, accuratezza storica e una buona dose di umorismo.
Un venerdì su due troverete anche una parola scritta da me, che curo il ciclo delle parole semitiche, termini della lingua italiana che affondano le radici nel deserto arabo o che sono fiorite tra le mura di Gerusalemme.

UPAG: il lampo è così grande e così piccolo è il lampone!

Pillola: confiner ou déconfiner, that is the question – the dawning of the age of Aquarius

Mentre tutta la Francia aspetta col respiro sospeso gli annunci del governo relativi ai prossimi giorni e alle feste di Natale, la speranza, per quelli come me, è che il regolamento non cambi e che si possa tornare in Italia prima del 21 dicembre sempre con un tampone covid negativo effettuato nelle 48 ore precedenti il viaggio.

Son tempi difficili, anche se, pare, siamo alla soglia dell’era dell’Acquario! Astrologi da tutto il mondo parlano di una congiunzione importantissima tra Giove e Saturno a 0° nel segno dell’Acquario che avverrà nientemeno che nel giorno del Solstizio d’Inverno.

Il che mi ha portata a riascoltare en boucle la colonna sonora del musical Hair. Ve la consiglio, di questi tempi dà una bella carica al morale altrimenti basso.

Un ultimo appunto: se qui in Francia il dramma si consuma tra confiner ou déconfiner, that is the question… al di là della Manica il primo uomo ad aver ricevuto il vaccino è un anziano signore di nome… William Shakespeare.

Cercasi un Victor Hugo che voglia essere il primo francese a farsi vaccinare… la Francia non può esser da meno!

Un diario assurdo del confinement

Quanto segue è la raccolta di un diario umoristico scritto in ventinove giorni di confinement.

Da prendere in pillole!

Venerdì, 30 ottobre 2020:
Primo giorno nella Bastiglia: c’è un tizio con una maschera di ferro che suona il violino e mangia piatti prelibati. Qui gatta ci cova.

Sabato, 31 ottobre 2020:
Secondo giorno nella Bastiglia. Il mio compagno di cella a quanto pare compie gli anni. Il tizio con la maschera di ferro gli ha suonato ‘Tanti auguri’ col violino.

Domenica, 1 novembre 2020:
Terzo giorno nella Bastiglia. Il morale vola basso, il rancio è senza glutine e dietetico, il tizio con la maschera di ferro sta diventando noioso.

Lunedì, 2 novembre 2020:
Quarto giorno nella Bastiglia: il gatto vede gli spiriti dei condannati che sono già trapassati, il cane si deprime e io racconto storielle divertenti al tizio con la maschera di ferro.

Martedì, 3 novembre 2020:
Quinto giorno nella Bastiglia. Il tizio con la Maschera di Ferro adora le mie storie sui Dpcm di Conte. Lui invece mi ha raccontato di un certo Conte di Saint Germain.

Mercoledì, 4 novembre 2020:
Sesto giorno nella Bastiglia. Ho chiesto al tizio con la maschera di ferro se ha così paura della pandemia da essersi fatto mettere la mascherina di metallo per proteggersi meglio. Mi ha risposto: “Non c’è n’è coviddi.”

Giovedì, 5 novembre 2020:
Settimo giorno nella Bastiglia. Oggi giochiamo a Risiko. Il tizio con la maschera di ferro vuole conquistare il nord Italia. Io gli ho detto che è quasi tutta zona rossa e che se la può tenere, io mi prendo Le Marche e sto.

Venerdì, 6 novembre 2020:
Ottavo giorno nella Bastiglia. Il tizio con la maschera di ferro ha messo un cappellino con scritto: “Make ancien régime great again.”Il cane e il gatto lo stanno snobbando.

Sabato, 7 novembre 2020:
Nono giorno nella Bastiglia. Oggi ho chiesto al tizio con la maschera di ferro che cosa ha provato quando è stato interpretato al cinema da Leonardo DiCaprio. Mi ha risposto: “Sono il re del mondo!”

Domenica, 8 novembre 2020:
Decimo giorno nella Bastiglia. Il tizio con la maschera di ferro ha messo il broncio perché non voglio giocare al gioco dell’oca. Gli ho detto che tanto qui in Francia le oche finiscono tutte male. Allora è andato a giocare col Conte di Cagliostro. Si stanno azzuffando per il colore delle pedine.

Lunedì, 9 novembre 2020:
Decimo giorno nella Bastiglia. Cagliostro dice di poter evadere con una formula magica scritta su di un pezzo di carta. Il tizio con la maschera di ferro pende dalle sue labbra. Non si è accorto che il pezzo di carta è solo un’ennesima autocertificazione.

Martedì, 10 novembre 2020:
Undicesimo giorno nella Bastiglia. La situazione sta degenerando. Il tizio con la maschera di ferro si presta ad esperimenti magico – alchemici di dubbio gusto ad opera di Cagliostro. Stanno cercando di comunicare telepaticamente con Macron per far aprire i negozi almeno per il Black Friday. Disapprovo tutto ciò.

Mercoledì, 11 novembre 2020:
Dodicesimo giorno nella Bastiglia. Oggi hanno insistito per giocare di nuovo a Risiko. Cagliostro dice che con un incantesimo può trasformare le zone rosse in zone arancioni e il tizio con la maschera di ferro gli crede ciecamente. Ho risposto che se mi toccano Le Marche taglio loro le mani.

Giovedì, 12 novembre 2020:
Tredicesimo giorno nella Bastiglia. Oggi si gioca a ‘Strega comanda colore’. Il tizio con la maschera di ferro si sta sovreccitando e Cagliostro insiste per cambiare il nome del gioco in ‘Stregone cambia colore’. Il cane e il gatto stanno disapprovando.

Venerdì, 13 novembre 2020:
Quattordicesimo giorno nella Bastiglia. Macron riaprirà i negozi dal 1 dicembre. Cagliostro afferma che è grazie ai suoi esperimenti magico-psichici di pessimo gusto e il tizio con la maschera di ferro si sta esagitando. Mi hanno messa con degli esaltati.

Sabato, 14 novembre 2020:
Quindicesimo giorno nella Bastiglia. Oggi Voltaire suona con la sua band. La scaletta include ‘Jailhouse rock’, ‘Folsom Prison Blues’ e ‘Man of constant sorrow’.

Domenica, 15 novembre 2020:
Sedicesimo giorno nella Bastiglia. Il tizio con la maschera di ferro vuole unirsi alla band di Voltaire. Cagliostro oggi guarda Law and Order alla TV.

Lunedì, 16 novembre 2020:
Diciassettesimo giorno nella Bastiglia.
È lunedì anche qua dentro.
Passo e chiudo.

Martedì, 17 novembre 2020:
Diciottesimo giorno nella Bastiglia. Mentre Voltaire rampogna tutti quanti sulla vexata quaestio di ‘Le covid’ o ‘La covid’, Cagliostro e il tizio con la maschera di ferro sono arrivati all’ottava stagione di Law and Order.

Mercoledì, 18 novembre 2020:
Diciannovesimo giorno nella Bastiglia. Voltaire delizia tutti con la sua rivisitazione della hit rap anni ’90 ‘Sound of da police’. Cagliostro e il tizio con la maschera di ferro stanno cercando di accaparrarsi delle scarpe della Lidl su eBay attraverso un incantesimo psicologico.

Giovedì, 19 novembre 2020:
Ventesimo giorno nella Bastiglia. Cagliostro e il tizio con la maschera di ferro smesso di guardare Law and Order alla 13esima stagione. Dicono che senza Briscoe non è più la stessa cosa. Voltaire sta rappando su un brano di Charles Aznavour.

Venerdì, 20 novembre 2020:
Ventunesimo giorno nella Bastiglia. Cagliostro dice che il vaccino è stato scoperto grazie a lui. Voltaire e il tizio con la maschera di ferro giocano a Indovina Chi edizione Merovei e Clodovei.

Sabato, 21 novembre 2020:
Ventiduesimo giorno nella Bastiglia. Voltaire sta scrivendo un’opera dal titolo: ‘Il migliore dei lockdown possibili’. Dice che è una critica filosofica agli assunti di Macron, ma per sicurezza prende per i fondelli pure Leibnitz.

Domenica, 22 novembre 2020:
Ventitreesimo giorno nella Bastiglia. Di sotto fanno un festino in maschera ffp2. Il tizio con la maschera di ferro è già pronto per il ballo. Lo ha organizzato un certo Marchese De Sade.

Lunedì, 23 novembre 2020:
Ventiquattresimo giorno nella Bastiglia. I postumi della festa a tema ffp2 si fanno sentire al piano di sotto: un odore di gel disinfettante e di guanti di lattice ha invaso le celle della prigione. Il tizio con la maschera di ferro è un po’ offeso perché qualcuno ha criticato il suo look.

Martedì, 24 novembre 2020:
Venticinquesimo giorno nella Bastiglia. Oggi si gioca a Uno. Cagliostro cerca di dribblare le carte +4 coi suoi poteri psichici. De Sade invece le accetta con gioia masochista.

Mercoledì, 25 novembre 2020:
Ventiseiesimo giorno nella Bastiglia. Stavamo giocando a Shangai quando Voltaire s’è accorto che le asticelle puntute sparivano mano a mano… Cagliostro dice che non c’entra nulla la telepatia e che è colpa di De Sade e delle sue manie. Il tizio con la maschera di ferro ancora non ha capito di che manie si tratti.

Giovedì, 26 novembre 2020:
Ventisettesimo giorno nella Bastiglia. Iniziamo a vedere la luce in fondo al tunnel: sabato riaprono i cancelli per uscite diurne. Voltaire continua a fare dello spirito sul migliore dei lockdown possibili.

Venerdì, 27 novembre 2020:
Ventottesimo giorno nella Bastiglia. Ho chiesto al Marchese de Sade che cosa si prova ad avere una parola coniata sul proprio cognome. Mi ha risposto: ‘Dolore e piacere al tempo stesso.’
Q.e.d.

Sabato, 28 novembre 2020:
Ventinovesimo e ultimo giorno nella Bastiglia. Si aprono i cancelli per uscite diurne. Prima di andare a zonzo, Voltaire mi ha detto: “La carestia, la peste e la guerra sono i tre ingredienti più famosi di questo mondo.” Cagliostro lo ha corretto: “Vecchio parruccone, non si dice più peste ma Covid!” e poi è andato a farsi fare le carte col tizio con la maschera di ferro. De Sade è filato via dal ferramenta.

Starring: Voltaire, Cagliostro, il Marchese De Sade e il tizio con la maschera di ferro.

Hypokhâgne e khâgne, che stregoneria è mai questa? Un tentativo di comprensione del sistema di istruzione superiore francese.

Il sistema scolastico francese, non è una novità, ha grandi differenze rispetto a quello italiano, a cominciare dalla durata: tredici anni in Italia, dodici oltralpe. Ma anche quello accademico è radicalmente diverso.

Infatti, dopo il bac, il baccalauréat, cioè l’esame di maturità (che non è l’unica opzione esistente, in quanto esistono altri diplomi professionali, come il Cap o il Bep per chi vuole intraprendere carriere nell’artigianato o nei settori tecnici), gli allievi francesi possono scegliere diversi percorsi: l’università, la via più comune, quella classica per noi italiani, chiamata brevemente fac (faculté), oppure les grandes écoles, come la famigerata école de commerce, che in certi ambienti è considerata una fabbrica di pedine del capitalismo in pieno stile corporate. A quanto ho capito, ma potrei sbagliarmi, vista la complessità di tutto ciò, per accedere alle écoles de commerce ci sono dei test di ingresso che non richiedono un percorso specifico e vi si può accedere direttamente dopo la maturità. Altre grandes écoles, invece, hanno regole di accesso ben più rigide.

Ecco perché c’è anche un’altra opzione, quella di ritornare al liceo dopo il bac: in questo caso si chiama lycée préparatoire, in breve (perché i francesi, se potessero, abbrevierebbero pure la parola maman) prépa. Le prépa durano due anni e preparano, appunto, ai concorsi di accesso alle écoles normales supérieures, degli istituti prestigiosi di istruzione superiore presso cui si conseguono diplomi come il master e il dottorato.

Ovviamente le classi preparatorie sono molto dure, proverbialmente difficili, poiché debbono allenare gli studenti al concorso e alla severità delle grandes écoles.

Questa struttura complessa e a tratti incomprensibile per noi italiani, abituati a considerare l’università come l’istituto di istruzione superiore per eccellenza, la Francia la deve sia a Napoleone ma anche all’influenza del’68, che ha portato a guardare con occhio più critico al mondo universitario, facendo quindi prediligere gli altri percorsi di istruzione superiore ad una certa fascia sociale.

A seconda di che cosa si voglia fare nella vita, comunque, ci sono diversi tipi di prépa: scientifica per chi volesse entrare nelle scuole di ingegneria, di veterinaria, al Politecnico etc. Umanistica, invece, per chi è votato a studi letterari, linguistici, storici o filosofici.
E qui arriviamo ad un punto interessante. Il primo anno di prépa littéraire si chiama hypokhâgne, il secondo khâgne Si tratta di argot scolastico preso in prestito direttamente al greco antico e mischiato al francese. Hypo, cioè ‘sotto’, ‘in basso’ viene dalla lingua greca, e fin qui siamo tutti d’accordo, khâgne, invece, è la grecizzazione della parola cagne. Essere cagneux in francese significa avere le gambe storte. Durante il XIX secolo, questo aggettivo iniziò ad essere utilizzato per prendere in giro gli studenti e i professori di materie umanistiche col naso sempre in mezzo ai libri e la schiena ingobbita: non lo stereotipo del fisico sportivo e prestante. I primi ad utilizzare questa parola per deridere i letterati furono gli allievi delle scuole militari, sempre a cavallo e sempre in movimento. Ma ecco che, per spirito di contraddizione e orgoglio, gli studenti di lettere iniziarono ad adottare questa parola per autodefinirsi, cambiandola però in modo che suoni un po’ più greca.

Ovviamente le tradizioni goliardiche che gli universitari nostrani conoscono bene esistono anche in Francia, specie nelle scuole preparatorie, che coincidono con gli anni più belli, i 18, i 19, i 20… Uno dei capricci degli studenti di hypokhâgne e khâgne è quello di dare un’aura latinizzante o grecizzante a tutte le parole, proprio come è accaduto con il loro nome.

D’altra parte, quale studente, italiano o francese, di fac, università, prépa o liceo non ha mai partecipato a goliardate o assunto atteggiamenti snob ed elitisti volti a farsi belli con gli studenti delle altre scuole e degli altri licei?

L’ingresso dell’Ecole normale supérieure de Paris

Un tour cimiteriale nel Golfo di St. Tropez

Dato che il confinement permette di andare a far visita ai cimiteri e che perciò mi lascia libera di dedicarmi ad una delle mie grandi passioni, ho approfittato per visitare un po’ di camposanti della zona in cui non ero ancora stata e scattare delle foto a tombe antiche, interessanti, misteriose.

Ho il piacere, dunque, di condividerle con i lettori di De amore gallico. Spero che questa galleria di immagini delle mie flâneries cimiteriali vi faccia viaggiare…

In queste due foto, scattate al cimitero di Ramatuelle, si notano le tipiche corone floreali di ceramica, una tradizione tutta francese.

Ogni cimitero che si rispetti ha il suo guardiano a quattro zampe. Anche quello di Ramatuelle.

Il tempo che passa si fa vedere al cimitero di Gassin.

Simboli che parlano del mestiere della famiglia sepolta sotto questo monumento, cimitero di Gassin.

Cognomi particolari, tombe ‘scadute’, tombe di bambini… al cimitero di Gassin ho trovato davvero tante cose interessanti.

Perfino un micio che assomiglia al disegno di Simba fatto da Rafiki ne ‘Il re leone’.

Una fine commovente…

A Grimaud c’è un mulino che domina il paesaggio dietro il cimitero. Tombe senza nome ma ricoperte di vegetazione lussureggiante, sepolcri nascosti nell’angolo più lontano e discreto…

Sepolcri di notevole solennità…

Il guardiano del cimitero di Cogolin è stato disturbato da una paparazza cimiteriale…

Un’interessante discrepanza ortografica che fa domandare… ma c’entra niente il poeta Arthur Rimbaud col villaggio di Cogolin?

Statue che sembrano viventi, epigrafi cancellate di proposito (quale mistero!) come per attuare una damnatio memoriae, sepolcri abbandonati da tempo a Cogolin.

Per concludere con una tomba solenne di un’illustre famiglia di medici e sindaci.

A presto, sempre su De amore gallico, con podcast, articoli, foto e storie interessanti.

Pillola: le croque-mort e il beccamorto, ovvero i francesi addentano mentre gli italiani pungolano

Essendo in periodo di Toussaint, cioè di Ognissanti e morti, oggi parleremo di… becchini.

Perché, se in Italia l’addetto delle pompe funebri che si occupa di tutti i vari aspetti delle esequie lo chiamiamo con goliardia ‘beccamorto’, cioè ‘quello che acchiappa i morti’ (e in tempi di peste nera era un’immagine non così fantasiosa come potremmo pensare) o anche ‘quello che li pungola con uno spillone per vedere se son davvero stecchiti’ (per non rischiare di seppellirne un vivo che poi si risveglia tumulato e al buio), in Francia l’equivalente di questa parola è croque-mort, che significa… ‘addenta-morto’.

Mi è stato riferito che l’origine di questo soprannome scherzoso è sempre il voler controllare che il morto sia ben morto. Solo che, al posto dello spillo, il metodo usato è quello del morso all’alluce!

Cimitero di Ramatuelle

La cosa pone di fronte a numerosi interrogativi, anche se dei buontemponi mi hanno suggerito che la passione gallica per il formaggio può aver influito sulla scelta dei croque-morts della cosa da addentare.

Io resto perplessa, ma anche meravigliata di come le lingue mi portino ogni giorno nuove sorprese e nuove cose da imparare.

Le corone funebri in ceramica sono tipiche dei cimiteri francesi

Le Télémaque: il mistero del tesoro di Luigi XVI

Che cosa trasportava il brigantino Télémaque il 3 gennaio del 1790? Quali segreti erano custoditi nella sua stiva? Un mistero che ha intrigato storici, scrittori e cercatori d’oro degli ultimi duecento anni…

Struttura di un brigantino, un’imbarcazione a due alberi molto veloce

Il Télémaque, al momento del naufragio, non si chiamava più così. Il brigantino era infatti stato acquistato al rouennese Louis Durand da Jean-Vincent Le Canu, commerciante di rue des Charrettes, e dai suoi soci, il Capitano Quemin e altri. Le Canu aveva ribattezzato il Télémaque: la scelta del nuovo nome era caduta su Le Quintanadoine, in onore di una ‘famosa famiglia di armatori di Rouen’. Si sa, cambiare il nome ad una barca porta molta sfortuna! Poco importa come sia stato rinominato, questo bateau è comunque passato alla storia come Télémaque.

Il ruolo di bordo del Télémaque

Era stato anche riparato e ingrandito: dopo i lavori di ristrutturazione il brigantino misurava 26 metri di lunghezza per 7,33 di larghezza e 4,33 di altezza. Va sottolineato che il Capitano Quemin e tutto l’equipaggio che salì a bordo del Quintanadoine per la missione che finì in naufragio erano gli stessi che aveva lavorato su quelbrigantino quando si chiamava Télémaque. Squadra che vince non si cambia!

Il 24 Dicembre 1789 il Quintanadoine ricevette il lasciapassare dall’ammiragliato di Rouen e salpò alla volta di Brest per trasportare legname e carbone, ufficialmente…
Il brigantino solcava le placide acque della Senna, destreggiandosi tra le anse del fiume, arrivando il 2 gennaio 1790 a Quillebeuf-sur-Seine. L’equipaggio mise l’ex Télémaque au mouillage a circa 100 metri di distanza dalla riva della città. Ed ecco che accadde il fatto che diede vita al mistero.

Le cronache narrano che un frangente, cioè un’onda particolarmente violenta e anomala, si sia riversata sul brigantino, lo abbia schiantato da babordo verso tribordo, gli abbia fatto perdere gran parte del carico e abbia rotto tutte le cime e tutte le gomene che assicuravano l’imbarcazione.

Quemin fece immediatamente mettere in acqua le scialuppe di salvataggio e tutta la ciurma fortunatamente si salvò, fatta eccezione per il mozzo, poveretto. Infatti il Télémaque colò a picco, portando con sé il giovane apprendista marinaio di cui non è più stato trovato il corpo e, pare, tutto il carico che trasportava in quella missione. Il Capitano avrebbe dovuto immediatamente riportare l’incidente alle autorità competenti, ma sembra che l’ammiragliato di Quillebeuf non abbia ricevuto notifica del naufragio che tre giorni dopo, il 5 gennaio 1790. La cosa strana è che negli archivi non risulta nulla e che l’impiegato addetto alla registrazione dei documenti, intervistato in seguito, disse di non aver alcun ricordo riguardante il dossier del naufragio del Télémaque.

Il tragitto dell’ultimo viaggio del Télémaque

La leggenda – perché forse di leggenda si tratta, o magari di storia, noi non lo sappiamo – vuole che, invece di legname e carbone, il Télémaque trasportasse un tesoro incalcolabile: l’oro di Luigi XVI, del clero, delle abbazie di Jumièges, di Saint-Martin-de-Boscherville, di aristocratici e nobili che avevano pianificato la grande fuga all’estero, per mettersi al sicuro ed evitare che la Rivoluzione li espropriasse di tutto. Il problema è che, se anche si può reputare credibile che clericali e aristocratici, a cavallo tra il 1789 e il 1790, volessero prendere armi e bagagli e andarsene dalla Francia messa a ferro e fuoco dai giacobini, il re e la famiglia reale non tentarono la fuga che un anno dopo, nel 1791, quando furono scoperti nottetempo a Varennes (firmando così, in un certo senso, la loro condanna).

Negli anni successivi diversi personaggi, specialmente dei privati, fecero di tutto per spostare il relitto dal fondo della Senna di fronte a Quillebeuf, ufficialmente per ‘intralcio alla navigazione’, affermando che l’épave adagiata sul fondo del letto del fiume ostacolava il viavai fluviale, ma in realtà per cercare di recuperare il fantomatico tesoro. Primo tra essi fu un certo armatore del porto di Le Havre di nome Le Canut (strano e sospetto come il cognome ricordi quello del proprietario del Quintanadoine).

Va detto che ad alimentare la leggenda del Télémaque contribuì anche un pamphlet pubblicato nel 1842 da un inglese, un certo Taylor, uno dei tanti privati che negli anni aveva cercato di riportare in superficie il relitto. In questo pamphlet intitolato “Sauvetage du navire le Télémaque, naufragé en Seine devant Quillebeuf, le 3 janvier 1790, supposé contenir de 30 000 000 à 80 millions de francs” si leggeva che diversi testimoni illustri, nessuno dei quali desiderava essere nominato, affermavano che:

Una quantità considerevole di gioielli e tesori proveniente da alcune chiese sarebbe stata segretamente condotta dentro un magazzino di Rouen affittato di nascosto. In quel luogo, nottetempo, tutti quei tesori furono fusi in lingotti d’oro, poi messi in barili cerchiati di ferro e fatti rotolare fino nelle stive di DUE imbarcazioni: il Télémaque ribattezzato Quintanadoine e una misteriosa goletta.

Sempre in questo pamphlet si leggeva che la destinazione ufficiale era Brest, ma il Capitano Quemin aveva in realtà ricevuto una busta da aprire solo e soltanto una volta superato il Capo de la Hève. Regola della massima importanza: evitare ad ogni costo i doganieri. Questi, però, riuscirono a rintracciare le due barche. La goletta fu arrestata e fatta rientrare in un porticciolo fluviale non lontano da Quillebeuf; il suo carico prezioso fu ispezionato e requisito: vi fu trovata tutta l’argenteria della famiglia reale, pare.

Crestois in azione

Il Télémaque invece arrivò fino a Quillebeuf e… colò a picco. Secondo il pamphlet ciò accadde perché il capitano Quemin, di fretta com’era, manovrò maldestramente la barca. Insomma, una bellissima storia, un’interessantissima storia che portò come risultato altri tentativi di recuperare il relitto che si susseguirono nel tempo, con minore e maggiore frequenza, per i successivi centrotrentotto anni.

Recupero di una parte del relitto

Infatti nel 1939, proprio quando venti di guerra soffiavano sull’Europa, finalmente, André Crestois, un industriale di Parigi, ottiene l’autorizzazione amministrativa ad effettuare dei lavori di recupero. Lo Stato francese era incoraggiato dai successi di missioni analoghe avvenute in quegli anni in giro per il mondo. Un sommozzatore in scafandro, René Cabioche, di Roscof, fu l’uomo che rese possibile il recupero di alcuni materiali dal relitto: candelabri, serrature, chiavi, chiodi, catene, ma anche dei crocifissi, dei sigilli con lo stemma fleur de lis, una catena enorme in oro massiccio usata come pettorale dai vescovi, monete d’oro… i lavori continuarono fino a che, nella primavera del 1940, una parte del relitto fu riportata in superficie. Peccato che su questa parte di relitto non si sia trovato nulla e che la stiva e la camera del Capitano siano sempre in fondo al fiume. Magari il tesoro vero e proprio sta ancora là sotto!

Oggi, purtroppo, dopo che molti lavori di sistemazione del letto fluviale della Senna sono stati fatti durante gli anni, sembra che il punto in cui il relitto affondò e fu successivamente ispezionato e in parte recuperato sia finito sotto un campo di calcio.

Va anche detto che all’epoca dei fatti gli abitanti di Quillebeuf erano conosciuti per essere degli sciacalli di relitti fluviali molto rapidi ed efficaci… chi lo sa, magari il Télémaque non fece nemmeno in tempo ad affondare che già tutto il tesoro era stato distribuito tra gli abitanti della cittadina; resta da vedere, come dicono, se tra le argenterie di famiglia a Quillebeuf ci sia niente recante lo stemma reale. Inoltre, i fanatici delle teorie del complotto affermano che il mozzo annegato durante il naufragio altri non era che il Delfino di Francia. Alla fine possiamo ben dire che tutto è possibile e che tutto è immaginabile.

Il libro di Simenon ispirato ai fatti del Télémaque

La vicenda ha ispirato fior di scrittori, da Victor Hugo che ci si mise di mezzo con un pettegolezzo da salotto, a Georges Simenon, con il suo libro ‘I superstiti del Télémaque’ e al contemporaneo Michel Bussi, che nel suo ‘Usciti di Senna’, pubblicato quest’estate in italiano per le Edizioni e/o mescola intrighi, pirati, tesori e misteri. Magari è la lettura giusta per le prossime domeniche autunnali, con un bel tè caldo e una coperta morbida sul divano, mentre fuori la pioggia sferza i vetri e vi porta, col suo suono lento e ripetitivo, indietro nel tempo, fino al Dicembre di duecentotrentuno anni fa…