Maitresses illustri: la storia delle amanti dei re di Francia – parte 2

Saliamo nuovamente sulla macchina del tempo, direzione le alcove dei re di Francia. Dopo la relazione di tutta una vita che vide Caterina de’ Medici tradita in favore di Diana di Poitiers, concentriamoci su Carlo IX, uno dei figli della regina nera, che fu sovrano dal 1560 al 1574.

La donna con cui visse una storia d’amore torrida e duratura, la sua unica amante di cui si abbia notizia, fu una dama conosciuta per la grande bellezza e lo spirito vivo e acuto: Marie Touchet, figlia del signore di Beauvais e Quillard, ugonotto, consigliere a corte. Aveva la pelle fine, i capelli molto folti e di un nero corvino, gli occhi più grandi della media. Una vera bellezza, della quale era ben cosciente, tanto che si dice abbia affermato, nell’osservare il ritratto della promessa sposa del suo amante: ‘Non la temo affatto.’

Pare che l’incontro tra i due sia avvenuto durante le rispettive adolescenze, in occasione di una caccia organizzata durane un viaggio in giro per il regno, e che l’amore sia durato per tutta la vita. Purtroppo le fonti che riportano notizie su di lei sono poche, per la maggior parte letterarie o artistiche (e quindi molto romanzate), ma si sa che il re e la giovane usavano incontrarsi di nascosto, in un casino di caccia, cercando di tenere all’oscuro la madre di lui, che disapprovava questa relazione. Nonostante i tentativi di vivere il loro divorante amore in sordina, Caterina de’ Medici venne a conoscenza della liason grazie alla sua rete di agenti segreti e fece in modo di allontanare i due amanti.

Il loro legame, invece, era così forte che né la distanza né tantomeno il matrimonio combinato tra Carlo IX ed Elisabetta d’Asburgo riuscirono a spegnere la fiamma che li univa. Ebbero anche due figli: uno morì in fasce, il secondo, invece, battezzato col nome del padre, divenne duca di Angoulême. Purtroppo, però, il destino aveva altri piani, per i due amanti e per la Francia: Carlo morì nel 1574, un anno dopo la nascita del secondo figlio.

Maria Touchet, dunque, dovette sposarsi, alla fine. Nel 1578 convolò a nozze col governatore d’Orléans, al quale diede due figlie, anche loro future maitresses royales. Morì a Parigi nel 1638, ma la sua figura ha continuato a vivere nelle opere di grandi scrittori quali Dumas, Rivet e de Balzac.

Con la morte di Carlo IX fu il fratello Enrico che ricevette la corona e il fardello della nazione. Passato alla storia col nome di Enrico III, egli fu l’ultimo sovrano della dinastia dei Valois a sedere sul trono di Francia. Durante il suo regno ci fu quella che viene ricordata come la Guerra dei Tre Enrichi e che vide fronteggiarsi da una parte il re, Enrico di Valois, dall’altra Enrico di Navarra l’ugonotto e dall’altra ancora Enrico duca di Guisa, partigiano cattolico, pari di Francia e grande personalità politica del tempo.

Ma lasciamo la guerra ai condottieri: a noi ci interessano gli amori. E questo Enrico qui ne ebbe a bizzeffe. Innanzi tutto dobbiamo ricordare i famosi Mignons, che non sono gli esserini gialli con gli occhiali che piacciono tanto agli infanti, ma i favoriti del re. Qui dobbiamo fare una piccola digressione sui costumi di Enrico: allevato ‘all’italiana’, per gli standard dell’epoca i suoi modi erano molto effemminati, quasi debosciati. Era un grande amante della moda e delle arti, un uomo colto e di gran gusto. I contemporanei videro di cattivo occhio i suoi atteggiamenti e forse è questo il motivo per cui la storia ha tramandato racconti equivoci a proposito del re e dei suoi favoriti. Certo, è possibile che il re avesse tra i Mignons anche degli amanti, nel qual caso non sarebbe stato né il primo né l’ultimo re ad avere un orientamento sessuale di più ampio raggio, ma gli storici non sono tutti concordi in merito a questo punto. Non sapremo mai la verità, ma che importanza ha? A me piace pensare che alla corte di Parigi Enrico III se la sia spassata alla faccia di tutti e nei modi che più gli aggradavano.

Tra i vari sollazzi, comunque, egli aveva anche gli incontri galanti con alcune dame, la più nota delle quali fu la bionda e avvenente Maria di Clèves. Ella non ebbe mai il titolo di favorita. In realtà nessuna delle amanti di Enrico III godette mai di tale ufficializzazione, ma la fitta corrispondenza che il re intrattenne con la belle Marie è ancora oggi testimonianza di un amore bruciante che li legò per quattro anni. Diventato re, Enrico sperò addirittura di far annullare il matrimonio della sua dulcinea per poterla portare lui all’altare, ma il suo sogno si infranse sugli scogli del destino: Maria morì dando alla luce un figlio nel 1574. Fu così che Enrico sposò una sosia della sua amante perduta, Luisa di Mercoeur. Questo matrimonio non aveva importanza politica particolare, ma si rivelò un’unione molto riuscita, perché pare che i due coniugi si siano amati sinceramente e appassionatamente.

Ovvio, l’amore coniugale non impedì al re di coltivare altre avventurette par ci et par là. Tuttavia le visse in grande discrezione per non mancare di rispetto alla sua sposa. Si segnala anche una supposta liason con una meravigliosa figura storica, la cortigiana veneziana Veronica Franco, la cui vita meriterebbe un articolo dedicato a lei esclusivamente.

Morto Enrico III, per farla davvero breve, il regno passò nelle mani del cognato, l’ugonotto Enrico IV che aveva sposato la principessa Margot (con tutto quel che segue, notte di San Bartolomeo inclusa). Si disse che in fondo Parigi valeva bene una messa, si convertì, e con lui la dinastia dei Borboni inaugurò la sua epoca d’oro, arrivando successivamente a regnare su mezza Europa.

Che dire di costui? Il matrimonio con la principessa Valois fu annullato (e la storia della povera Margot, tragica e mozzafiato, è stata oggetto di tanti racconti e romanzi storici vergati dalle migliori penne della letteratura). Riconvolò a nozze, portando nuovamente la famiglia De’ Medici sul trono. La sua seconda moglie, infatti, altri non era che Maria De’ Medici, la quale gli diede ben sei figli. Non fu un marito fedele: le avventure galanti gli guadagnarono il soprannome di vert galant. In italiano potremmo tradurlo come ‘volpone d’argento’, cioè un vegliardo parecchio arzillo, specie per quanto riguarda le attività del talamo. Sue maitresses furono Gabrielle d’Estrées, nota per essere ritratta nel dipinto della scuola di Fontainbleau ‘Gabrielle d’Estrées e sua sorella al bagno’, in cui l’una pizzica il capezzolo dell’altra, le sorelle Catherine Henriette de Balzac e Carlotta di Essart, entrambe figlie di quella Marie Touchet che aveva amato Carlo IX, e anche Giacomina di Bueil, una dama che gli diede un figlio.

Di queste quattro favorite, vale la pena discutere di alcune cose: una delle più celebri, Gabrielle d’Estrées, ebbe il merito di influenzare Enrico nell’abiura della fede ugonotta. Ella era una fervente cattolica e il suo ascendente sul re deve aver giocato un ruolo di primo piano in questa vicenda. Era una donna di grande spirito, molto intelligente, abilissima oratrice e lo amava con trasporto sincero. La sua capacità diplomatica e il suo discernimento le valsero un riconoscimento molto importante per una donna di quel tempo: un posto nella camera del consiglio del re. Quando Enrico ottenne l’annullamento delle nozze con Margot, si fidanzò con la sua amante, la quale però, forse a causa di un avvelenamento, morì anzitempo subito dopo un parto drammatico, durante il quale anche il bambino spirò. Il re portò a lungo il lutto per la sua favorita, una cosa senza precedenti a corte.

Tempo dopo, quando le trattative per il matrimonio con Maria de’ Medici erano già in corso, fu Catherine Henriette a soggiogare col suo charme il sovrano. In realtà la loro storia d’amore si trasformò in una relazione d’odio per dissidi su benefici e titoli che la donna desiderava per sé e, soprattutto, per il riconoscimento di uno dei figli della coppia come Delfino di Francia. Ella partecipò anche ad un complotto ai danni del re che fu sventato, ma la sua reputazione restò macchiata e, alla morte di Enrico, fu bandita dalla corte.

Possiamo davvero dire che la fine dei Valois e l’ascesa dei Borbone furono davvero roventi, sia sul campo di battaglia che nella camera da letto.

Ma non finisce qui! Il meglio deve ancora venire. A presto con la terza parte di questo excursus storico nelle reali alcove di Francia!

Pillola: anniversari franco-italiani dell’anno ’19

Se quest’estate si è fatto un gran parlare dell’anniversario leonardesco che ha unito (e un po’ pungolato) la Francia e l’Italia, il 2019 è anche l’anno di Caterina de Medici, che nacque sulle sponde dell’Arno nel 1519 e spirò a Blois, dopo aver segnato la storia di Francia e di Navarra, nel 1589. Sempre un palleggio tra paesi trans e cisalpini, bien sûr!

La Regina Nera, la cattolicissima sovrana sanguinaria di Francia, cui De amore gallico ha già dedicato diversi articoli, è ricordata con una stagione fitta di eventi al castello di Chenonceau, a una trentina di chilometri da Tours. Questa fortezza, unico, affascinante esempio di castello – ponte, è spesso soprannominata “Le château des dames” perché molte sono state le nobildonne che lo hanno posseduto, abbellito, arricchito e che vi hanno soggiornato, lasciandovi un segno del loro passaggio. Prima tra tutti la rivale di Caterina, ovvero Diana di Poitiers, poi Caterina stessa, che lo amò e lo modificò a suo gusto e immagine, e poi Marguerite Pelouze, ereditiera inglese che acquistò il castello nel 1864.

Se avete voglia di celebrare l’anniversario della regina italiana di Francia, potete visitare una mostra dedicata alla sovrana che si tiene durante il mese di settembre nel favoloso castello.

Io purtroppo non potrò spostarmi per motivi di lavoro, ma, se qualcuno di voi fosse nei paraggi, sarei ben lieta di sapere le vostre impressioni. Pare che il menù del ristorante del domaine sarà a tema Caterina, riprendendo molte delle ricette che la reine portò in Francia dall’Italia.

Ah, la cuisine française…

Caterina de’ Medici, l’italiana con la forchetta sul trono di Francia

Correva l’anno 1589. Caterina de’ Medici si spegneva, ammalata di pleurite, nel castello di Blois. Lì fu anche sepolta per essere traslata nella cattedrale di Saint-Denis, a Parigi, ventidue anni più tardi.
Il suo nome è protagonista di un capitolo cruciale della storia di Francia, non solo politico e religioso, ma anche di costume e cultura.

Il suo bisnonno paterno era nientemeno che Lorenzo de’ Medici detto il Magnifico, mecenate rinascimentale, uomo d’arte e di lettere, ma specialmente signore di Firenze, tanto illuminato quanto spietato, deceduto qualche mese prima che Colombo giungesse nelle Indie, o meglio, nelle Americhe.

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Jacopo Chimenti, “Nozze di Enrico di Valois duca d’Orleans e Caterina de’ Medici”, 1600, Galleria degli Uffizi.

Brutta e poco aggraziata, sposò l’avvenente (ed estremamente deluso) Enrico d’Orleans, futuro Enrico II di Francia, nell’ottobre del 1533. Avevano entrambi quattordici anni e queste nozze furono fatte per volere del papa e del re Francesco I, per ristabilire gli equilibri di potere che si erano rovinati con la disfatta di Pavia, in cui l’esercito asburgico del re Carlo V aveva sbaragliato le truppe francesi. Qui un link alla pagina Wikipedia per chi volesse avere qualche informazione su questa battaglia.
Quattordici anni dopo Caterina e suo marito furono incoronati sovrani di Francia.
A quel tempo il paese era diviso sul fronte religioso: fortissima infatti era la presenza di protestanti, detti ugonotti, sul suolo francese, e le lotte tra la fazione cattolica e quella calvinista insanguinarono tutto il secolo XVI e parte del XVII.
Certo, è riduttivo pensare che le cosiddette guerre di religione francesi siano state il risultato di “semplici” disaccordi inerenti la fede: il sostrato politico, sociale ed economico che si cela sotto la patina religiosa è di grande complessità ed è fondamentale tenerlo presente per comprendere appieno le dinamiche che mossero la storia europea del periodo.

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Caterina in tutta la sua raffinatissima bruttezza

Quale ruolo ebbe Caterina in questa situazione di tensione? Forse proprio quello chiave, quello che ha fatto sì che al suo nome fosse associata, nei secoli, una sorta di “leggenda nera”, anche se la storiografia più recente ha tentato di riabilitarla, dopotutto.
Di certo nessuno storico ha mai negato la sua affilata intelligenza: Caterina de’ Medici aveva una naturale predisposizione verso la matematica, coltivata da un’educazione molto raffinata ottenuta a Roma nell’infanzia; col tempo ebbe poi modo di mettere in pratica un talento politico eccezionale ed inaspettato. Sebbene fosse men che attraente, suppliva alla mancanza di beltà con un gusto squisito in fatto di abiti e gioielli. Tale era il suo amore per le belle cose e per il lusso che dall’Italia portò con sé sarti, gioiellieri e profumieri. Tra questi spicca il nome di Renato Bianco, conosciuto come René le Florentin. Costui selezionava le essenze per creare dei profumi che Caterina poi portava, solidificati, in boules dorate appese al collo. Questi bijoux si chiamavano pomander, o “melograni odorosi”. Qui il link per approfondire l’argomento.
René le Florentin viaggiò in lungo e in largo per la Francia, cercando le materie prime migliori da raffinare in prodotti di altissima qualità. Fu in Provenza, precisamente a Grasse, che trovò son bonheur. Non è un caso che, nei secoli, la cittadina sia diventata la capitale della profumeria francese, fama che conserva tuttora.
L’italianizzazione della corte francese era in atto. I sarti fiorentini andavano per la maggiore e tutta la capitale era pazza di una specialità italiana chiamata “gelato”. Era stata Caterina a portarla a Parigi, grazie al gelataio toscano Ruggeri. Su di lui c’è un curioso aneddoto: pare che avesse vinto una competizione indetta nella città di Firenze dal tema “il piatto più bizzarro”. Ruggeri, allora umile pollivendolo, gareggiò portando ai palati della giuria un sorbetto, chiamato allora “dolcetto gelato”. La vittoria fu schiacciante, ça va sans dire. Caterina lo volle con sé in Francia, sebbene Ruggeri fosse quantomai recalcitrante a seguire la sovrana. Ella, testarda e ostinata, non sentì ragioni e lo fece prelevare a forza dai soldati e portare a spalle sulla nave che l’avrebbe condotto da Livorno a Marsiglia. La vita alla corte parigina, per il povero Ruggeri, fu difficile e irta di ostacoli: l’invidia degli altri cuochi gli fu quasi fatale, specialmente quando subì un agguato in cui fu malmenato e derubato.
Offeso e stanco, se ne tornò in Italia, lasciando dietro di sé solo la ricetta del suo “ghiaccio all’acqua inzuccherata e profumata”.

Insieme a René le Florentin e a Ruggeri, Caterina condusse in Francia cuochi di prim’ordine, che fecero scoprire a Parigi le delizie della besciamella, delle crespelle, dei carciofi, dell’olio d’oliva e dei bignè, senza contare la raffinatezza dell’uso della forchetta (divenuto legge con un decreto) e la separazione tra portate salate e portate dolci.
Non solo ghiottoneria: Caterina de’ Medici si era circondata di una pletora di astrologi e alchimisti, giacché la sua particolare predilezione per la matematica l’aveva portata, col tempo, ad avventurarsi nello studio delle arti occulte e dell’astrologia. Sembra che portasse addosso più di un amuleto e sono certi i suoi contatti con Nostradamus, di cui ho già discusso in un articolo precedente. La regina lo invitò alla corte parigina dopo aver letto le famose profezie, ma la cosa non deve stupire, sia per l’inclinazione alla magia della de’ Medici, sia perché era cosa comune, tra la nobiltà, il rivolgersi a maghi e astrologi per ottenere previsioni e auspici. Caterina, dal canto suo, sembra che volesse avere maggiori delucidazioni in merito ad una delle Centurie, in cui sembrava si parlasse della morte di Enrico II.
La strofa in questione è la seguente (centuria 1, quartina 35):

Le lion jeune le vieux surmontera
En champ bellique par singulier duel,
Dans cage d’or ses yeux lui crèvera,
Deux plaies une, puis mourir, mort cruelle.

Che vorrebbe dire:

Il giovane leone il vecchio sormonterà
Nel campo bellico in singolar tenzone
Nella gabbia d’oro gli occhi perforerà
Due ferite in una, poi morire, morte crudele.

Guarda un po’, Caterina de’ Medici diventerà vedova nel 1559 in occasione del matrimonio della figlia Elisabetta col re di Spagna e delle nozze della cognata, Margherita, col duca di Savoia (un doppio matrimonio a corte per limitare le spese). Era usanza celebrare disputando dei tornei tra cavalieri. Enrico II, entusiasta, gareggiò contro il conte di Montgomery. Entrambi avevano come stemma un leone, sui loro scudi.
Il sovrano riportò orrende ferite al volto che lo condussero alla morte nel giro di dieci giorni.
Ora, che la faccenda di Nostradamus e della sua quartina sia verità o finzione, non sta a me dirlo: a volte la leggenda e la storia sono talmente avviluppate l’una all’altra da essere ormai indivisibili. Ammetto inoltre di avere un debole per questo genere di aneddotica, quindi non sarò io di certo a smentire i miti che aleggiano intorno a tali figure storiche.
Per ritornare però al rapporto di Caterina con la magia, è da menzionare la presenza a corte di un noto astrologo fiorentino chiamato Cosimo Ruggeri, francesizzato in Cosme de Rogier, che la regina portò con sé a Parigi e che fu uno dei suoi più fidati consiglieri, nonché spia e delatore. Egli ebbe parte anche in una congiura che coinvolse perfino la figlia di Caterina ed Enrico II, Margherita di Valois, nota come la Reine Margot. Se attorno alla figura della de’ Medici vi è la cosiddetta leggenda nera, Margherita deve la sua fama ad una storiografia distorta, che ne ha oscurato i meriti politici ed intellettuali, millantando ninfomania, incesto, lussuria sfrenata e machiavellismo senza scrupoli. Dumas padre le dedicò il primo romanzo della trilogia dei Valois.

Alla morte del marito, Caterina era distrutta e decise di portare il lutto per il resto dei suoi giorni. Ma, se per le sovrane il colore del cordoglio era il bianco, lei, anticonformista e ambiziosa, scelse il nero, perché la rendeva più snella e la faceva sentire più a suo agio. Dopo aver sopportato anni di umiliazioni a causa dell’ingombrante presenza a corte dell’amante del marito, la bellissima e influente Diana di Poitiers (sul cui seno pare sia stata modellata la forma della perfetta coppa per lo champagne), la de’ Medici finalmente riuscì a levarsela di torno e a riprendersi tutti i regali che, negli anni, il re Enrico II aveva offerto all’affascinante maitresse, gioielli della corona, titoli e castelli inclusi.
Dei dieci figli avuti dal sovrano, ben tre divennero re di Francia, anche se, a ben vedere, il potere effettivo fu tutto di Caterina, regina reggente, che dovette gestire il regno e le guerre di religione mentre le tare familiari, vera piaga delle dinastie reali di ogni secolo, mangiavano le meningi della sua preziosa prole, insieme a gracilità ed emofilia. A farne le spese fu la famosa Maria Stuarda, che rimase vedova giovanissima di Francesco II (deceduto per un’infezione auricolare) primogenito di Caterina e succeduto sul trono al padre Enrico. Maria se ne tornò in patria, oltre la Manica, dove ebbe poi i suoi bei problemi con i protestanti (lei era cattolicissima) e con Elisabetta I, sua cugina e sovrana d’Inghilterra.

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Sembra che la modella per il quadro “Dame au bain” di Clouet sia stata proprio Diane di Poities, l’amante del re Enrico II. Nella foto il dipinto che mette in risalto i famosi seni della dama.

Sepolto il primogenito, fu la volta del secondo figlio di diventare re di Francia col nome di Carlo IX, conosciuto per essere un pazzo da legare. In questa situazione la priorità della de’ Medici era esclusivamente quella di mantenere l’equilibrio della corona e dello stato, diviso tra gli ugonotti, sostenuti dall’Inghilterra, e i cattolici, che avevano tutto l’appoggio della Spagna e della corona francese stessa.
Sotto il regno di Carlo IX avvenne il già altre volte citato orrore della Notte di San Bartolomeo, in occasione delle nozze di Magherita di Valois, già nominata, con Enrico di Borbone re di Navarra, nobile nato cattolico ma fatto calvinista dalla madre. Lo sposalizio  doveva essere un gesto di pacificazione definitiva tra le due fazioni religiose, ma invece accadde il fattaccio: nella notte tra il 23 ed il 24 agosto 1572 su ordine di non si sa bene chi (Caterina stessa? Re Carlo IX?) migliaia di ugonotti furono trucidati per le strade di Parigi, senza risparmiare né vecchi né bambini. Roba da far impallidire G.R.R.Martin e le sue “Nozze rosse”.

Henry&Margot
Enrico di Borbone e Navarra con la sua sposa Margherita di Valois

Questo avvenimento costituisce una macchia indelebile nella parabola della de’ Medici, tanto che la storiografia ci si è attaccata come un koala all’eucalipto e ne ha estrapolato le conclusioni più disparate, tutte volte a gettare discredito e infamia sul capo della sovrana medicea.
Vero è che il suo ascendente sul debole figlio era enorme: si dice che Carlo IX morì due anni dopo la strage di San Bartolomeo, oppresso dal rimorso per non essere stato in grado di opporsi a sua madre in occasione di quella disgraziata notte.

Crepato il marito fedifrago, sepolto il primogenito gracilino, morto il secondo folle, fu la volta del vizioso terzogenito: Enrico III sale sul trono dopo il padre e due fratelli. Amante del lusso, della bellezza e delle donne, ebbe molte amanti. A corte si circondò di favoriti particolarmente intelligenti e di bell’aspetto, detti i mignons. A me fanno venire in mente i pupini gialli del cartone animato, quelli con un occhio solo che servono un super cattivone.
I veri problemi di Enrico furono il non aver generato eredi e la morte, senza figli maschi, del fratello minore Francesco, che in caso di morte del sovrano avrebbe dovuto prendere posto sul trono.
La cosa comunque si risolse, non senza una guerra, la famosa”dei tre Enrichi”: il risultato fu l’ascesa al trono di Enrico di Navarra, proprio lo sposo fortunato di Margherita, che aveva visto la sua notte di nozze insanguinata dalla morte degli ugonotti parigini. Si convertì al cattolicesimo, disse “Parigi val bene una messa” e pace fu fatta.

Caterina non vide nulla di tutto ciò. Morì mesi prima che il suo terzogenito e figliolo favorito spirasse, e così non seppe mai che il trono di Francia, alla resa dei conti, andò sotto le natiche di un ugonotto convertito per opportunismo.

L’italiana, la straniera, armata di forchetta e talismani magici, col ventre pieno di ghiottonerie fiorentine e le eleganti vesti nere addosso, con le mutande sotto le sottane (sì, fu lei ad insegnare alle nobildonne parigine che cosa fossero le culottes) e un cavallo sempre fresco in scuderia, è passata alla storia come una sovrana tessitrice di inganni, bieca traditrice e senza pietà. La questione è complessa, se ne dibatte ancora: il fascino di queste figure storiche, forse, sta proprio qui, nel saper far parlare di sé ancora dopo secoli, forti del loro operato ambiguo, delle malelingue, della mitologia che si crea loro intorno e dei problemi di tradizione che chi si occupa di storia deve fronteggiare quotidianamente.