Ancora baci (alla francese, alla russa, di Catullo e Lesbia, di Giuda, basci sulla bocca tutti tremanti)

Vivamus, mea Lesbia, atque amemus,
rumoresque senum severiorum
omnes unius aestimemus assis.
Soles occidere et redire possunt;
nobis cum semel occidit brevis lux,
nox est perpetua una dormienda.
Da mi basia mille, deinde centum,
dein mille altera, dein secunda centum,
deinde usque altera mille, deinde centum;
dein, cum milia multa fecerīmus,
conturbabimus illa, ne sciamus,
aut ne quis malus invidere possit,
cum tantum sciat esse basiorum

Catullo, carme 5

Se la bise è il bacino informale che si fa ogni volta che si incontra qualcuno in Francia, che dire dei baci alla francese? Premesso che quelli alla russa sono sconvolgenti:

cultura_cqtm5.T0
Dmitri Vrubel “Mio Dio aiutami a sopravvivere a questo amore mortale”, murales alla East Side Gallery di Berlino raffigurante il bacio tra Breznev e Honecker

anche il bacio alla francese può far andare a mille il cervello: è infatti il bacio d’amore, quello più intimo, che interessa non solo le labbra ma anche la lingua con un abbondante scambio di saliva. Insomma, la pomiciata, una bella limonata, di quelle succulente e stuzzicanti. Ma perché viene chiamato bacio alla francese? Forse perché i francesi sono molto coquins. Fatto sta che in Francia il pomiciare si dice rouler une pelle, ruotare una vanga, forse perché la lingua ruota e scava nella bocca dell’altro. Su internet si trova anche un’altra curiosità: baiser à la florentine, baciare alla fiorentina, che sembra esser stata l’espressione vecchio stile per rouler une pelle. Divertente: tutto il mondo attribuisce i baci appassionati ai francesi, ma i francesi li definiscono tipicamente fiorentini. Non sarà che anche la pomiciata fu un’esportazione toscana ad opera di Caterina de’ Medici? (Per sapere quali altre cose Caterina fece scoprire ai francesi clicca qui).

Baiser come sostantivo vuol dire bacio, come verbo significa baciare, ma più spesso lo si usa per indicare il far l’amore, lo scopare (perdonate la volgarità). Per cui attenzione: se volete dire al vostro fidanzato o al tipo con cui state limonando con foga “Baciami, stupido”, citando il film di Wilder, con la Novak e Martin, non ditegli in alcun modo: “Baise-moi, stupid“, perché potrebbe capire invece: “Scopami, stupido.” Di nuovo, perdonate la volgarità, ma dovevo avvertirvi, soprattutto perché parlo per esperienza personale.

Embrasse-moi-idiot
Martin e la Novak

Per la cronaca, “Kiss me, stupid” in Francia è stato tradotto con “Embrasse-moi, idiot”. Ciò mi permette di introdurre il verbo embrasser che, mannaggia a Victor Hugo, vuol dire sia “baciare” che “abbracciare”. Per quest’ultima azione, inoltre, vi è un’altra traduzione ancora: enlacer.

Un vero labirinto linguistico-sentimentale.

Penso avrete notato che, nel carme 5, Catullo dice “basia“, neutro plurale di basium. Ma che ne è di tutto quel po’ po’ di diritto romano che regolamentava i baci e in cui li si definiva oscula? Pensiamo ad esempio al famigerato ius osculi, che permetteva ad un pater familias di baciare le componenti della sua famiglia per controllare se avessero alzato il gomito. Sono andata cercare risposte in uno dei miei siti preferiti, Una parola al giorno.  Si legge:

L’osculum, voce più elevata, era il bacio d’amicizia e rispetto, che per esempio ci si scambiava fra famigliari, e che pure poteva essere dato sulla bocca; il suavium era invece il bacio erotico, con una carica passionale quasi volgare; il basium aveva un valore intermedio, che partecipava tanto dell’affetto quanto di una dimensione amorosa. E forse è proprio per la sua versatilità, che lo rendeva termine da bosco e da riviera, che ha prevalso sugli altri.

Bacio.

bacio-box-home
Un bacio al giorno che male può fare?

Che bella parola che riempe la bocca (come la lingua di quello che ti stai pomiciando), sembra di mangiarsi un cioccolatino! Chissà che Luisa Spagnoli non abbia battezzato i Baci Perugina in questo modo proprio per tale motivo? Che carina, poi, l’idea dei biglietti con un pensiero d’amore di poeti e scrittori… penso che la stragrande maggioranza dei Baci Perugina della storia sia stata accompagnata dalla citazione tratta dal Cyrano de Bergerac di Rostand, quella arcinota, che oramai ha perso la sua carica poetica, tanto è stata usata e riusata:

Un point rose qu’on met sur l’i du verbe aimer

Forse voi la conoscerete meglio nella sua traduzione italiana:

Un apostrofo rosa fra le parole “t’amo”

Giuda bacia Gesù nel Getsemani dopo averlo tradito in cambio dei famigerati trenta pezzi d’argento. Non ci è dato sapere con quale faccia tosta lo abbia fatto, possiamo solo immaginarla. Così come immaginiamo con grande versamento di lacrime il modo in cui Paolo la bocca […] basciò tutto tremante a Francesca, mentre leggevano di Lincillotto alle spalle dell’orrido Gianciotto.
A Dante i basci piacciono molto. Anche a Romeo e Giulietta, che ci rifilano tutta quella manfrina sui pellegrini e le sante quando noi del pubblico si vorrebbe urlare a gran voce: “BACIO! BACIO! BACIO!”

romeo-juliet-main-review
Ma come fai a resistere? Prendi la faccia di DiCaprio tra le mani e pomiciatelo!

Nella versione Disney della fiaba di Andersen “La Sirenetta”, il granchio Sebastian conduce un coro di animali acquatici che incitano il principe a baciare la sirena. Nelle fiabe di “Biancaneve” e “La bella addormentata nel bosco” il bacio è salvifico.

1483774339-syn-xxx-1483735068-hbz-romeo-juliet-kiss
Ah, ecco!

Insomma, si cresce con un’aspettativa enorme nei confronti dei baci e con un’altrettanto enorme ansia da prestazione. Le tecniche che ci si passa sottobanco alla scuola media per essere dei buoni baciatori variano dal “devi scrivere il tuo nome con la lingua” al “non sbavare”. E se quest’ultimo è in generale un consiglio da seguire in linea di massima per tutta la propria carriera da baciatore, quello del nome ha i suoi pro e i suoi contro. “Eva Riva” può pure permetterselo, ma una come me, con un nome lunghissimo, deve sperare che il baciato gradisca il bacio abbastanza a lungo da permetterle di finire di firmare con la punta della lingua dentro la sua bocca.

Voi mi direte: c’è di peggio.

Concordo.

Les voiles de Saint Tropez, un evento marinaro tra lusso e tradizione, perché Odisseo riprenda il suo periplo mediterraneo

Les Voiles de Saint Tropez è uno dei più importanti eventi velistici al mondo, una regata che ha luogo ogni anno a cavallo tra settembre e ottobre, attirando imbarcazioni dai quattro angoli della terra.
Per l’occasione il porto del noto villaggio si svuota di tutti gli yacht di lusso che lo popolano durante l’estate, di modo da poter accogliere alcuni tra i più belli e imponenti bateaux del mondo.
Questa gara ha avuto vita trent’anni fa sotto il nome di “La Nioulargue“, perché lo scopo è quello di doppiare una collina sottomarina che si trova al largo di Pampelonne e che si chiama proprio Nioulargue.

In generale i primi giorni della manifestazione sono occupati dalle grandi parate dei velieri, che scatenano stupore e ammirazione nel pubblico.
Un mio amico, esperto marinaio, ha vinto un concorso e ha avuto l’opportunità di partecipare alla parata inaugurale a bordo di un trimarano di venti metri di nome Ex Gitana 11. Mi ha raccontato di aver trascorso un pomeriggio mozzafiato, nonostante il vento freddo e tagliente che si era levato nel golfo di Saint Tropez.

In effetti il mistral non fa sconti a nessuno. Nel 1995, ultimo anno della manifestazione chiamata “La Nioulargue”, durante la corsa vi fu un incidente molto grave che causò una morte. Per tre anni la regata non ebbe luogo, fino al 1999, quando si decise di riprendere con questo appuntamento velistico mondiale, cambiando però il nome in “Les voiles de Saint Tropez”.

Sul sito ufficiale potete trovare tutte le informazioni pratiche dell’evento.
Si può leggere anche che:

Le mélange de yachts classiques avec des bateaux ultra modernes est la caractéristique principale des Voiles et sa véritable “marque de fabrique”.

In effetti la magia della regata risiede nel fatto che non partecipano solo barche a vela moderne e dotate di ogni tool più recente e innovativo. Ci sono velieri antichi, dei primi del novecento, perfettamente conservati o magnificamente restaurati.

I nomi sono fantasiosi e tutti diversi: Hallowe’en (è quasi ora di mettersi a scavare le zucche, in effetti), Black Legend (astenersi battute di cattivo gusto), Enterprise (forse il proprietario è un trekkie?), Oiseau de feu (un appassionato di Stravinkij?), Galvana (come ser Galvano della saga arturiana), Il moro di Venezia (fan del Bardo?), Samarkand (un omaggio a Hugo Pratt?)…

Dalla baia di Gigaro ho scattato alcune foto che ritraggono le barche a vela in lontananza.voiles
Non sono andata a Saint Tropez di persona, sia perché trascorrerci anche solo qualche ora significa spendere molti soldi, sia perché sono molto presa dallo studio. Però ho potuto godermi un magnifico spettacolo da cartolina seduta sulla sabbia mossa dal vento, in una bella giornata di inizio ottobre.

voiles2

Le barche a vela hanno un fascino tutto loro che nessuna imbarcazione a motore potrà mai sprigionare. Negli alberi che si ergono maestosi, nello spiegarsi delle vele di tessuto, nel cigolare del legno, nel respiro della barca tutta si sente la radice prima dell’arte della navigazione, si percepisce il tocco dell’uomo antico, quando grazie al suo solo intelletto e alla sua sola forza riuscì a sfruttare la potenza dei venti e a padroneggiare gli elementi a mani nude, rischiando la vita in ogni momento.
Credo che queste siano azioni che hanno lasciato un segno invisibile ed indelebile, una traccia, una vibrazione umana che si perpetua nel nostro fare e disfare. Quando ripetiamo gesti dalle origini ancestrali rinnoviamo lo sforzo del primo uomo che li compì.
Io, ogni volta che poso gli occhi su una barca a vela, non posso fare a meno di pensare a Odisseo, al suo periplo, all’acume e alla curiosità che lo condussero alla scoperta di luoghi favolosi ed esseri mostruosi.
Davvero pensiamo di essere così cambiati, noi uomini contemporanei? Davvero crediamo di discostarci molto dall’homo curiosus cantato da Omero nell’Odissea?
Io no.
Non la pensava così nemmeno Dante, che lo mise nell’inferno, non per la sua sete di conoscenza né per tracotanza, ma perché fu un consigliere fraudolento e ingannatore.

Se avessi una barca a vela tutta mia la chiamerei Odissea, o Calipso, o Nausicaa e me ne andrei anche io a gareggiare a Les voiles de Saint Tropez, sfidando il vento e gli altri velieri, solcando il mare come se fossimo la flotta achea che giunge all’Ellesponto per assediare la città di Troia.