Maitresses illustri: la storia delle amanti dei re di Francia – parte 4

Eccoci giunti al quarto (e ultimo) capitolo sulle amanti dei re di Francia. Le reali alcove sono stati luoghi che han visto andirivieni notevoli, nei secoli. Riprendiamo il discorso, dunque, coi discendenti del Re Sole. Il gioco dinastico, coi Borboni di Francia, è stato molto intricato nel salto che da Luigi XIV ha portato all’intronizzazione di Luigi XV. Vediamo perché:

il primogenito del Re Sole era Luigi il Gran Delfino, dalla corporatura robusta e dallo scarso interesse politico. Pare esser stato un uomo mite e amabile, molto popolare tra i francesi, adepto della vita appartata e degli agi. Destinato a regnare sulla Francia alla morte dell’augusto padre, purtroppo il fato gli fu avverso. Figlio di re, nonno di re, la corona non gli cinse mai il capo, né poté deporre le reali terga sul trono. Morì infatti a poco meno di cinquant’anni per vaiolo. Uno dei suoi figli, Filippo, divenne capostipite della casata dei Borboni di Spagna, mentre il primogenito, che tanto per cambiare si chiamava Luigi, subentrò come Delfino alla morte del padre. Salvo poi morire anche lui prima del nonno Luigi XIV. Gran bel pasticcio. Per fortuna che, prima di tirare le cuoia, aveva regalato alla nazione un erede, il futuro Luigi XV. La corona di Francia, dunque, facendo due conti, passò da bisnonno a bisnipote. Le generazioni così, come un gelato alla crema…

Il Gran Delfino

Il Gran Delfino sposò Maria Anna di Baviera, sebbene inizialmente le nozze dovessero essere celebrate con Maria Luisa d’Orléans, sua cugina. Correva voce che i due fossero stati amanti, ma l’unione finì in un nulla di fatto. Dalla moglie ebbe i suoi eredi, che assicurarono continuità e stabilità ai Borbone. Le cose si fecero più interessanti alla morte della consorte. Rimasto vedovo, infatti, convolò a nozze con la sua amante di lungo corso, dama di compagnia di una delle sue sorellastre. Fu un caso dunque di matrimonio morganatico. La fortunata si chiamava Marie-Emilie de Joli Choin. Chi era costei? Non una gran bellezza, a quanto dicono le cronache. Di certo il suo nome compare in un intrigo poco pulito: quando infatti si era concessa come amante al Gran Delfino, Madame de Joli Choin intratteneva già una relazione con il Conte François Alphonse de Clermont-Chaste, un membro dell’entourage del Maréchal de Luxembourg.

Madame de Joli Choin

Luxembourg pare abbia consigliato a Clermont-Chaste di sposare Madame de Joli Choin, perché attraverso di lei avrebbe potuto esercitare una forte influenza nei confronti del Gran Delfino. Si dice che Madame de Joli Choin e Clermont-Chaste abbiano pianificato di concepire un bambino insieme da far passare per il figlio del Gran Delino. Purtroppo per loro il piano fu sventato, la corrispondenza che intrattenevano presentata al re e i due finirono esiliati dalla corte. Tuttavia, il legame tra Madame de Joli Choin e il Gan Delfino non fu spezzato, poiché alla fine i due convolarono davvero a nozze, generando pure un figlio che però morì all’età di due anni, sconosciuto e dimenticato.

Françoise Pitel

I due sposi abitavano nel castello di Meudon, lontano dalla corte, in cui ricevevano comunque il gran mondo: duchi e ambasciatori erano sempre invitati. Tuttavia Madame de Joli Choin rimase discretamente lontana dagli affari politici e non approfittò più della sua posizione esclusiva e privilegiata. Il marito, come abbiamo visto, morì giovane, a quarantanove anni. Da vedova ricevette una pensione e rinunciò all’eredità che il Gran Delfino le aveva destinato, vivendo virtuosamente e dedicandosi alle opere pie fino alla sua morte. Una maitresse davvero diversa rispetto a tutte quelle incontrate finora.

Ma non fu la sola amante di Luigi il Gran Delfino. Il figlio del Re Sole, infatti, indulse anche in un’altra relazione con l’attrice Françoise Pitel, meglio conosciuta al tempo col nome d’arte di Mademoiselle Raisin, nata nel 1662 e divenuta sua maitresse nel 1701. Da questa donna ebbe tre figlie e, quando il Gran Delfino morì, anche lei ricevette una pensione reale e non le mancò nulla. Una garanzia, insomma.

Come abbiamo visto prima, dal Gran Delfino passiamo a suo nipote, il re Luigi XV di Francia. L’epoca d’oro, l’era di due donne i cui nomi sono noti a tutti: Madame de Pompadour e Madame du Barry. La prima fu una grande influencer del suo tempo: politica, arti, moda, lettere, musica… ovunque lasciò il segno, anche grazie al suo mecenatismo e all’influenza che ebbe sul re. La seconda, di oscure origini, visse la parabola discendente della monarchia assoluta francese fino al Terrore.

Ma Luigi XV ebbe anche altre amanti, oltre alle due più conosciute. Vale la pena menzionare le sorelle de Nesle, cinque fanciulle bisnipoti di una delle famose sorelle Mancini, Ortensia per la precisione, le quali furono, se ben ricordate, amanti di Luigi XIV. Che cerchie ristrette, quelle delle alcove reali!
La maggiore delle sorelle de Nesle, Louise Julie de Mailly, fu la prima di esse a diventare la favorita del sovrano. Ma, una volta ottenuto lo status di amante ufficiale, la sorella minore, Pauline-Félicité, invitata ad un ballo a corte, sedusse il re, restando subito incinta. Approfittò largamente della situazione, assetata com’era di potere e desiderosa di accumulare ricchezze. Ciò comportò una grande antipatia generale nei suoi confronti che ebbe un triste esito. Quando morì dando alla luce un bambino che somigliava tantissimo a Luigi XV, le esequie furono turbate da una sommossa popolare durante la quale il corpo della tanto odiata amante fu profanato. Il fatto fu grave, scosse profondamente la corte. Ma gli intrighi e gli intriganti non andavano mai in vacanza, nemmeno di fronte a siffatte tragedie e, sebbene l’amante ufficiale fosse ancora la maggiore delle sorelle de Nesle, uno dei consiglieri del re, che per ragioni politiche voleva spodestarla da questo ruolo, presentò al sovrano la terza sorella, Marie Anne, vedova de la Tournelle.

Ella aveva già un amante, di cui era assai innamorata. Il sovrano, che la desiderava ardentemente, insieme ad altri cortigiani e politici interessati alla cosa, manipolò la giovane e fece in modo che venisse tradita, cosa che la portò, per vendetta, a concedersi a Luigi XV. Non contenta di essere un’amante qualsiasi, si assicurò che la sorella maggiore perdesse ogni ruolo a corte (cosa che portò Louise Julie a chiudersi successivamente in un convento), e si appropriò della sua nuova posizione con astuzia e strategia. Seguì il re nelle sue campagne belliche e, nella città di Metz, fece costruire una galleria coperta che collegava i suoi alloggi con gli appartamenti del re. La relazione dava scandalo, addirittura il sovrano progettava di affidarle l’educazione della futura Delfina di Francia, Maria Antonietta… ma il progetto non si concretizzò mai: Marie Anne morì a ventisette anni per una peritonite che molti presero per un avvelenamento.

Una quarta sorella de Nesle ebbe l’onore di condividere il letto con il re, e fu Diane-Adélaide. La sua relazione col sovrano fu passeggera e intermittente, meno intensa e acclarata rispetto a quelle intessute col re dalle sue tre sorelle. Nondimeno andava menzionata per l’eccezionalità di questa situazione che vide coinvolte quattro sorelle su cinque in intrighi e capriole tra le lenzuola di Luigi XV.

Veniamo ora alle due donne più conosciute dell’epoca, le due amanti che hanno davvero segnato la storia del regno di questo sovrano, nonno dello sfortunato Luigi XVI…

Jeanne-Antoinette Poisson, marchesa di Pompadour, ebbe accesso alle più alte sfere della nazione francese grazie agli affari paterni. Nata nel 1721, non si sa con certezza chi fu il genitore naturale della piccola Jeanne-Antoinette. François Poisson, infatti, era spesso in viaggio per lavoro (collaborava coi Fratelli Pâris, fornitori dell’armée, ed era anche furiere del duca di Orléans), e la moglie era amante di numerosi nobili e influenti personaggi. Comunque risulta che Jeanne-Antoinette fu sempre ‘protetta’ in modo particolare da uno degli innamorati della madre, l’intendente generale delle imposte De Turnehem. Fu educata nel convento delle Orsoline e, quando François Poisson fu esiliato ad Amburgo per appropriazione indebita, insieme alla madre iniziò ad andare in certi salotti bien-frequentés e ricevette l’educazione migliore grazie alle cure del De Turnehem.

La giovinetta eccelleva nelle arti: danza, canto, recitazione. Aveva un gusto squisito per la letteratura, la pittura e l’architettura, un occhio infallibile per la moda. Tutte cose che contraddistinsero il suo ‘regno a Versailles’, tutti campi in cui la sua influenza ebbe esiti felicissimi (cosa che non può essere detta per la politica). Il matrimonio della giovane, bella e affascinante, fu combinato sempre dal De Turnehem. Convolò a nozze con il figlio del tesoriere della Zecca, Charles-Guillaume Le Normant d’Étiolles.

Madame de Pompadour

Da lui ebbe una figlia, Alexandrine, e, grazie alla posizione acquisita con il matrimonio, iniziò a frequentare i salotti più prestigiosi, conoscendo gente del calibro di Voltaire, Montesquieu, Marivaux… tutti soggiogati dal suo fascino, dalla sua cultura e dalla sua intelligenza. Non fu l’unico vantaggio procuratole da questa unione col figlio del tesoriere della Zecca. Infatti andò ad abitare al Château d’Étiolles, il cui posizionamento era estremamente interessante: stava proprio dalle parti di un castello da poco acquistato dal re di Francia. Chissà che sarà successo in quelle passeggiate nei parchi, in quelle battute di caccia…

Il marito di Jeanne-Antoinette fu prontamente spedito in viaggio d’affari e la giovane fu subito invitata alla festa di nozze del Delfino. Il dado era tratto.
Al marito fu dato un incarico prestigiosissimo in contropartita e Jeanne-Antoinette divenne amante ufficiale del re, stabilendosi a Versailles, in un appartamentino comodo che fu preludio del castello di Arnac-Pompadour, dono del re, grazie al quale la nominò Marchesa di Pompadour.

Iniziò così il ‘regno della Pompadour’, che durò vent’anni. E se non rimase amante fissa, specie verso la fine, quando il re si dedicò ad altre conquiste, esercitò di fatto un’influenza politica ed ebbe un ascendente tale sul re che fu considerata la reale regina di Francia. Ovviamente la vera sovrana, la principessa polacca Maria, e i figli legittimi del re capitanarono un partito anti-Pompadour che però non riuscì a spodestarla. In molti cercarono di ricoprirla di ridicolo, componendo poemi satirici e ostacolandola in ogni modo. Sebbene la vita a corte non fosse facile (pare che gli aborti che le impedirono di dare figli illegittimi al re fossero dovuti allo stress delle campagne anti-Pompadour), mantenne rocciosamente la sua influenza sul re, tanto da prendere parte all’orchestrazione di una tregua tra la Francia e l’Austria che, nel tempo, condusse al matrimonio del futuro Luigi XVI con Maria Antonietta. Si vendicò puntualmente degli sgarbi di cui fu vittima, operò dietro le quinte della corte, manipolò cortigiani e politici, senza imbarazzarsi per i metodi utilizzati.

Madame de Pompadour
Madame de Pompadour con l’Enciclopedia

Madame de Pompadour portò il teatro a Versailles, patrocinando rappresentazioni quasi quotidiane. Fu mecenate e protesse la pubblicazione dell’enciclopedia, influenzò la moda, le porcellane, l’architettura, la cucina. Amò lo champagne, il tartufo… insomma, ci fu un vero e proprio style à la Pompadour che si sviluppò per tutta la prima metà del XVIII secolo.

Morì a 42 anni, probabilmente per tubercolosi aggravata da una congestione polmonare, con grande dolore del re, che aveva perduto la sua antica amante, divenuta amica, confidente e consulente politica. Tristi furono le parole che dedicò al suo feretro, sotto una pioggia battente che impedì un cerimoniale fastoso per le esequie:

Ecco qui i soli omaggi che ho potuto renderle.

Voilà les seuls devoirs que j’aie pu lui rendre.

Fu così che, trascorso il lutto per questa figura importante, il re trovò consolazione tra le braccia di Madame du Barry. Una popolana, discendente di un rosticciere, di padre ignoto, di madre caduta in disgrazia… perfino per un’amante era un profilo troppo equivoco! Ma la scalata al potere di Marie-Jeanne Bécu iniziò quando entrò a servizio di una ricca vedova di un esattore generale. Entrata in contatto con il mondo borghese, imparò come comportarsi e come parlare. Ciò le fu molto utile quando divenne commessa nella boutique ‘A la toilette‘. Lì entrò nel milieu de la mode, che le permise di accedere ad alcuni salotti. Bella, intelligente e spigliata, divenne presto l’amante di un uomo influente: il conte du Barry-Cérès. Fu lui a presentarla ufficiosamente a corte. Il re fu subito incantato dalla bellezza della giovane e dalla sua ars amandi. Andava assolutamente fatta una presentazione ufficiale, senza la quale ella non sarebbe potuta diventare la sua amante en titre. Era necessario, perché ciò accadesse, che la giovane fosse anche maritata. Detto fatto, il du Barry la diede in sposa al fratello, il quale, complice della cosa, intascò una bella somma e se ne tornò a casa sua, lasciando la sposa a Versailles, amante sia del fratello che del re. Diventata contessa du Barry, Marie-Jeanne fece il suo ingresso trionfale a corte.

Madame du Barry

Non fu un’amante che influenzò la politica. Cercò di compiacere più persone possibili, non intraprendendo vendette o ritorsioni verso il partito che le si opponeva a corte. Malgrado ciò, non ebbe vita facile, poiché furono diffusi libelli pornografici su di lei, fu calunniata e derisa in ogni modo, attraverso canzoni e opuscoli. Perfino la nuova Delfina, Maria Antonietta, da poco arrivata a corte, le fu ostile, perché era stata consigliata di evitare ogni coinvolgimento con la maliarda amante. Insomma, sebbene la tattica scelta dalla giovane du Barry fosse di farsi meno nemici possibili grazie al suo carattere, apparendo innocua e leggera, non funzionò molto bene.

Il regno di Madame du Barry fu di breve vita rispetto a quello di colei che l’aveva preceduta. In soli cinque anni, però, riuscì a fare opera di mecenatismo. Anche Voltaire cadde vittima del suo fascino e, come aveva celebrato madame de Pompadour, così dedicò versi alla nuova amante reale. La moda le fu debitrice (non dimentichiamo che aveva iniziato proprio la sua scalata in quell’ambiente lì) e anche le arti francesi.

Madame du Barry

Purtroppo, la morte per vaiolo di Luigi XV, avvenuta nel 1774, significò la sua caduta in disgrazia. Odiata profondamente a corte, fu esiliata in un convento dove rimase per un anno, vittima di una falsa corrispondenza che le fu imputata dal partito a lei ostile. Fu liberata e riuscì a farsi restituire l’usufrutto di un castello che le era stato concesso dal sovrano. Abitò piacevolmente in quel maniero, a Louveciennes, intessendo amori (specie col duca di Cossé-Brissac), amicizie prestigiose e godendosi la vita fino allo scoppio della rivoluzione.

Bersaglio ideale dei rivoluzionari, sospettata di essere una spia dei monarchici in esilio in Inghilterra, derubata dei suoi gioielli (una storia degna di un altro articolo), fu dichiarata nemica della rivoluzione, arrestata e ghigliottinata l’8 dicembre 1793. Aveva cinquant’anni. Non lasciò figli.

Di figli illegittimi, invece, Luigi XV ne ebbe diversi, tutti avuti dalle amanti meno note. I legittimi, datigli dalla moglie, la regina Maria, furono altrettanto numerosi, ma il trono, come era accaduto per lui, non andò al primogenito, morto anzi tempo. Fu uno dei nipoti, Luigi Augusto, ad essere incoronato sovrano di Francia. Sappiamo tutti come è andata a finire.

Fonti e approfondimenti relativi all’articolo: “Alchimia, massoneria, furfanteria e libertinaggio”

Per tutti coloro che fossero interessati ad approfondire i temi trattati nel precedente articolo, raccomando la visita delle seguenti pagine web:

  • la onnisciente e affidabile Wikipedia (consiglio spassionato: andare sempre a guardare le note a piè di pagina e le fonti da cui son tratte le informazioni, il più delle volte rimandano a loro volta a siti e pagine web davvero interessanti);
  • Per il Conte di Saint Germain: quiquiqui e qui;
  • Per Madame de Pompadour: quiqui e qui;
  • Per Maria Antonietta: qui;
  • Per Mozart: quiquiqui e qui;
  • Per Casanova: quiqui e qui;
  • Per Da Ponte: quiqui, e qui;
  • Per Cagliostro: quiqui e qui;
  • Per Voltaire: qui e qui.
  • Per Madame d’Urfé: qui.
  • Per De Sade: qui.

 

Consiglio inoltre la consultazione/piacevolissima lettura dei seguenti libri:

  • “Memorie scritte da lui medesimo” di Giacomo Casanova, ed. Garzanti i grandi libri;
  • “Memorie – libretti mozartiani” di Lorenzo da Ponte, ed. garzanti i grandi libri;
  • “Il conte di Saint Germain. L’iniziato immortale. Storia e leggenda” di Paul Chacornac, ed. Mediterranee;
  • “Lettere alla cugina” di Wolfgang Amadeus Mozart, ed. SE.

Alchimia, massoneria, furfanteria e libertinaggio: quel fil rouge licenzioso e oscuro tra Italia e Francia

Il settecento è un secolo magico: non solo corrisponde al periodo delle grandi rivoluzioni, ma, nella sua struggente bellezza e contraddizione, può esser considerato il canto del cigno di un’epoca dorata che si conclude con la decapitazione dell’ancien régime a Place de la revolution.
Personaggi di varia levatura intellettuale e di diverso carisma intrecciarono i loro percorsi per le contrade europee, in quel periodo. Oggi voglio dipanare quella fitta matassa di fili per tessere una piccola rete di coincidenze e curiosità che, spero, appassionerà il lettore.

Comincio da Venezia, città libera e indipendente che ha partorito spiriti peculiari e avventurosi. Uno tra tutti fu Giacomo Casanova (Venezia, 2 aprile 1725 – Dux, odierna Duchcov, 4 giugno 1798). Figura affascinante, tanto charmant da diventare un’antonomasia, privilegio concesso a pochi. Furono lui e le sue prodezze ad ispirare il Don Giovanni mozartiano? È vero che mise mano al testo di qualche scena dell’opera? Probabile. D’altra parte è storicamente provato che Casanova conobbe personalmente, tra Francia e Boemia, sia il coprolalico ed infantile genio austriaco (Salisburgo, 27 gennaio 1756 – Vienna, 5 dicembre 1791), sia il librettista Lorenzo da Ponte (Ceneda, 10 marzo 1749 – New York, 17 agosto 1838), veneto anche lui.
Ecco un altro libertino impenitente. C’è da scommetterci che Casanova e Da Ponte fossero una bella coppia d’assi e non meraviglia che avessero intrecciato una solida amicizia, cementata forse dalla condivisione del debole per il gentil sesso.
Lorenzo da Ponte, nato Emanuele Conegliano, israelita, fu fatto cristiano per volere del padre che, dopo una lunga vedovanza, volle risposarsi con una goyà. Entrato in seminario, affinò le proprie capacità di scrittore e prese i voti, salvo poi farsi bandire dalla Serenissima per “pubblico concubinaggio”. L’amor sacro non interessava tanto Da Ponte quanto quello profano. Dunque, cacciato da Venezia, peregrinò tra Gorizia e Dresda per arrivare, nel 1781, a Vienna. Là conobbe Mozart e, sebbene le sue annotazioni in proposito siano eccezionalmente stringate, la collaborazione tra loro fu talmente proficua da produrre le cosiddette tre opere italiane, che sono anche le più conosciute della produzione mozartiana.

Se Casanova e Da Ponte condividevano origini venete e libertinaggio e se Mozart e Da Ponte furono stretti collaboratori a Vienna, Casanova e Mozart, oltre che dal Don Giovanni, sono accomunati da un ulteriore fattore: la massoneria.
Che cos’è più emblematico del settecento se non la massoneria? In un mondo ancora attaccato alle vecchie regole feudali, è stata proprio lei a permettere ad individui come Casanova e Mozart di entrare in contatto con la casta del potere: Casanova non era altro che il figlio di attori e ballerini, Mozart veniva da una famiglia di musicisti. Gli artisti, per quanto acclamati, erano relegati agli appartamenti della servitù, mangiavano al tavolo dei valletti. Fu grazie alla loggia massonica che poterono invece sedere alla mensa dei potenti, rapportarsi con loro da uomini a uomini, non più da popolani a nobili. In tal senso, dunque, nulla fu più illuminista e rivoluzionario della massoneria.
Forse fu merito della rete di contatti sviluppata dalla Loggia che Casanova ebbe l’occasione di fare un incontro per la descrizione del quale scrisse numerose pagine nelle sue Memorie. Ferney, Svizzera, 1760: Casanova andò a trovare Voltaire (Parigi, 21 novembre 1694 – Parigi, 30 maggio1778), probabilmente il più importante intellettuale del ‘700, l’acerrimo rivale di Rousseau, vicino al quale per ironia della sorte è sepolto al Panthéon di Parigi.

Voilà le plus heureux moment de ma vie. Il y a vingt ans, Monsieur, que je suis votre écolier.

Il libertino lo considerava suo maestro, come potete leggere, ed era profondamente affascinato dai suoi scritti, sebbene fossero estremamente critici verso la classe sociale a cui lo sciupafemmine aveva desiderato di appartenere a pieno titolo per tutta la vita. Prova ne sia il passo delle sue Memorie in cui narra di quanto s’affannò per attirare l’attenzione di una nobile della corte di Versailles, famosa ancor oggi per la sua bellezza, una donna che esercitò il suo fascino non solo sul suo “prestigioso” amante (nientemeno che il re Luigi XV), ma anche su un circolo di dotti e intellettuali ch’ella riuniva nel suo salotto, il cui fiore all’occhiello era proprio, guarda un po’, Voltaire. Sto parlando di Madame de Pompadour (Parigi, 29 dicembre 1721 – Versailles, 15 aprile 1764).

È a questo punto che voglio introdurre un’altra figura. La sua identità è misteriosa, avvolta in una nebbia che è più impenetrabile del tempo. Costui è legato per diversi gradi a ciascuna delle persone che ho già citato in questo articolo. Quando si dibatte su quest’uomo si dà spazio a congetture e a possibilità di ogni sorta. Il buon senso si fa da parte per permettere alla mente di accettare cose inimmaginabili. Per citare un autore più recente

Una volta eliminato l’impossibile, ciò che resta, per quanto improbabile, deve essere la verità.

Molti di voi avranno già trovato per caso in qualche testo il nome del Conte di Saint Germain (23 febbraio 1712? – Eckernförde, 27 febbraio 1784?).
Chi era costui? Non so dirvelo. Un massone, questo è sicuro, introdotto in diverse logge. Un alchimista, è risaputo. Un mago, è stato detto. Un Illuminato, hanno vociferato. Un immortale, si è sentito dire. Apparso in luoghi distanti e diversi allo stesso momento, testimonianze lo riportano, vissuto per un tempo indefinito, forse tuttora in vita, forse ancora giovane e uguale al se stesso di sempre. Gli si attribuisce la paternità di un libro ermetico e magico chiamato La très sainte Trinosophie.

saintgermain

L’unica cosa sicura è che questo Conte di Saint Germain è stato conosciuto da Casanova, quando questi si dilettava in esperimenti di magia e di alchimia; da Mozart, che ne lodava le abilità col violino; da Madame de Pompadour che lo introdusse alla corte di Francia; da Voltaire, che scrisse di essere impressionato dalla capacità del Conte di rimanere sempre giovane e immutato, anche a distanza d’anni.

C’est un homme qui ne meurt point, et qui sait tout.

Casanova, colpito dall’aura che circondava il misterioso nobile, gli riconosceva sapere e poteri. Nella sua autobiografia vi sono dei passi in cui riporta i discorsi del Conte a proposito del Concilio Tridentino: ne parlava come se vi fosse stato veramente, come se avesse visto e sentito tutto con i suoi occhi e le sue orecchie. Tuttavia il donnaiolo veneziano detestava il fatto di passare in secondo piano, agli occhi delle dame, nel momento stesso in cui il Conte faceva il suo ingresso nella stanza. Fu forse a causa di questo risentimento che arrivò a provocarlo a casa di Madame d’Urfé (1705 -13 novembre 1775), eccentrica dama francese, famosa al tempo per i suoi esperimenti magici e spiritici.
Questa donna costituisce uno snodo importante: ella fu un punto di contatto tra l’enigmatico Conte, Giacomo Casanova ed un altro italiano, un siculo per la precisione, anch’egli diventato antonomasia nella nostra lingua. Un furfante, un cialtrone, un lenone, uno spregiudicato massone e sedicente mago che si faceva chiamare Conte di Cagliostro (Palermo, 2 giugno 1743 – San Leo, 26 agosto 1795).

La D’Urfé praticava magie e sedute spiritiche. Fu Cagliostro, a quanto pare, ad evocare per lei l’anima di Paracelso e di un altro mago del passato. Fu il Conte di Saint Germain a lavorare con lei a pratiche alchemiche che includevano la cabala e la pietra filosofale. Fu Casanova a praticare riti e magie “rigeneratrici” assieme a lei.
Tralasciando il fatto che oltre ai sortilegi e alle stregonerie condividevano anche il letto, Casanova pare abbia attinto abbondantemente dalla borsa della marchesa, forte della credulità di lei e della propria impunità.

La magia e le logge massoniche fecero sì che Casanova e Cagliostro, come ho detto comuni conoscenti di madame d’Urfé, si incrociassero ad Aix-en-Provence, in un’osteria. Il donnaiolo veneto fece da cicerone al furfante e alla di lui moglie, poi insieme si diedero ad esperimenti alchemici e magici.

Cagliostro conobbe anche Saint Germain, e qui la cosa si fa interessante. Pare che i due fossero stati collaboratori: quando Cagliostro fu trasferito alla Rocca di San Leo per il carcere a vita, nella sua vecchia cella di Castel Sant’Angelo fu ritrovato proprio La très sainte Trinosophie. Sembra che la frequentazione tra i due alchimisti abbia avuto luogo a Parigi, negli anni in cui, presumibilmente, Cagliostro prese parte anche al famigerato affaire della collana, uno scandalo che coinvolse in prima persona la sventurata regina Maria Antonietta (Vienna, 2 novembre 1755– Parigi, 16 ottobre 1793). Ella stessa ebbe modo di conoscere personalmente il Conte di Saint Germain. La storia narra che nel 1774, all’indomani della morte di Luigi XV, avvenne l’incontro tra la sovrana e il mago: egli le predisse un funesto futuro, in cui la monarchia sarebbe stata rovesciata. Più volte, in seguito, il Conte fece pervenire messaggi a Maria Antonietta, per avvisarla, per metterla in guardia. Sappiamo che questi tentativi non ebbero un esito positivo.
La Bastiglia, che negli anni ’10 del ‘700 aveva avuto come illustre ospite lo stesso Voltaire, perseguitato per i suoi scritti satirici, fu presa il 14 luglio 1789. Meno di due settimane prima un detenuto del carcere parigino, affacciatosi attraverso le sbarre della finestra della sua cella, aveva urlato alla gente di sotto, in strada:

«Qui stanno sgozzando i prigionieri!»

In conseguenza a quest’atto di ribellione, il 4 luglio il prigioniero fu trasferito al manicomio di Charenton. Costui altri non era che il marchese Donatien-Alphonse-François De Sade (Parigi, 2 giugno 1740 – Charenton-Saint-Maurice, 2 dicembre 1814), anche noto come il Divin Marchese, il massimo perverso, il libertino più sfrenato e malato che la storia ricordi.

Il 16 ottobre 1793 Maria Antonietta, che nell’infanzia aveva anche fatto la conoscenza dell’impertinente Mozart, fu decapitata e l’Illuminismo giunse alle sue estreme conseguenze con il periodo del terrore. Un mondo tramontava, l’epoca moderna vedeva la sua fine e presto sarebbe iniziata quella che i manuali di storia riportano comunemente come “epoca contemporanea”.