De amore gallico a Parigi

Oggi De amore gallico vi porta con sé a Parigi!

La settimana scorsa è stata infatti occupata da un favoloso viaggio nella capitale francese, durante il quale ho avuto modo di rivedere luoghi e cose già visitati con grande piacere in passato, ma soprattutto di scoprire posti nuovi e sorprendenti. Pronti? Si parte!

La prima tappa, obbligatoria anche per l’emplacement dell’hotel presso cui ho alloggiato (Hotel Les Dames du Panthéon), è stato il tempio civile della Francia, il Panthéon. Come già sentito nel cuore in precedenza, per me codesto monumento è un luogo che incute timore, sia per le dimensioni, i volumi dello spazio, sia per la sua importanza nella storia civica francese. Ad ogni modo, svegliarsi tutte le mattine ed affacciarsi sulla piazza di fronte a siffatto sesquipedale sacrario è stata una delle cose più belle del mio soggiorno. Ecco qualche scatto di quella magnifica giornata:

Ovviamente una mirabile passeggiata per il Quartier Latin, chiamato così perché, essendo il circondario dell’università, tutti gli studenti e i professori parlavano il latino, con visita alle sue favolose librerie è stata d’obbligo. Ho proseguito fino al Jardin du Luxembourg, per poi dirigermi verso Saint Sulpice, una delle chiese parigine che preferisco e dove fu anche battezzato Charles Baudelaire, Saint Germain des Prés, nei cui dintorni ho fatto una visita all’Officine Universelle Buly, un luogo da alchimisti e stregoni d’altri tempi presso cui acquistare dei lussuosi cosmetici. Tappa poi verso i bouquinistes del lungo Senna, il luogo dove sorgeva la Tour de Nesle e la mitologica libreria Shakespeare and Company, a fianco alla cattedrale di Notre Dame.

Il giorno seguente è stato all’insegna di due mie grandi passioni: i cimiteri e l’ebraismo. Tappa al Père Lachaise, in cui non ero stata in visita nei miei precedenti soggiorni, per quanto strano possa sembrare. Impressionante è il muro esterno del cimitero, percorso da un’installazione che riporta tutti i nomi di tutti i caduti della sola Parigi della Prima Guerra Mondiale, in ordine alfabetico e divisi per anno di guerra.

Avrei un video dettagliato di questa installazione, grazie al quale potreste rendervi conto della quantità immane di persone che morirono al fronte e successivamente, ma non posso caricarlo nel blog. Vi dovrete fidare delle mie parole quando affermo che è un posto presso cui andare e raccogliersi in silenziosa riflessione; leggere quei nomi è stato particolarmente toccante, per me, anche alla luce del periodo dell’anno in cui ho compiuto questo viaggio, pochi giorni dopo il 4 novembre, data del cessate il fuoco sul fronte italo-austriaco, e in concomitanza con l’11 novembre, armistizio sul fronte occidentale (e mio compleanno).

Al Père Lachaise mi sono concentrata su tombe di gente non famosa, la cui bellezza mi ha suggerito alcuni scatti di carattere lirico…

Il giorno in cui ho compiuto questo pellegrinaggio era il 9 novembre, anniversario della scomparsa di Apollinaire. Grande gioia è stata per me ritrovarmi presso la sua tomba insieme a tanti altri appassionati, che volevano rendere omaggio al poeta in occasione di questa ricorrenza. Sono andata a trovare anche Marcel Proust, Ingres ed Abelardo ed Eloisa.

La giornata è proseguita con una visita particolare ed importante per me: dal Père Lachaise sono andata a piedi fino al numero 209 di rue Saint Maur. Si tratta di un immobile qualunque dell’XI arrondissement, ma la cui storia è stata soggetto di un libro e di un reportage a cura della giornalista Ruth Zylberman. La lettura del saggio e la visione di questo documentario sono stati fondamentali nella mia personale ricerca della storia e delle storie ebraiche europee. Il 209 di rue Saint Maur custodisce infatti, tra le sue mura e nel selciato del cortile, le vicende di tanti parigini dal momento della sua costruzione fino ad oggi: tra i vari abitanti si ricordano un comunardo che cadde nell’ultima tragicissima settimana di esistenza della Comune di Parigi, un membro dei servizi segreti che era informato circa alcuni fatti che avrebbero potuto scagionare il Capitano Dreyfus, tante povere famiglie di emigrati degli anni ’20 e gli ebrei (forse la maggior parte degli inquilini negli anni ’30) che o si nascosero fortunosamente, o furono deportati e non fecero mai ritorno dai campi di sterminio. Se avete piacere di scoprire queste storie e di commuovervi profondamente, vi consiglio di leggere ‘209, rue Saint Maur, autobiographie d’un immeuble’ e di guardare il reportage ‘Les enfants du 209 rue Saint Maur’.

Quando sono arrivata l’emozione era grande. Non nego di aver avuto un nodo alla gola strettissimo e di aver versato qualche lacrima varcandone la soglia e addentrandomi nel suo ventre. Il concierge, Momo, lo stesso che ha accolto tanto spesso la giornalista Ruth Zylberman durante le ricerche, era al suo posto anche quel giorno, e ho avuto modo di scambiare qualche parola con lui. Non dimenticherò mai questo momento, resterà inciso nel mio cuore per sempre.

Il richiamo ebraico per me è irresistibile, ecco allora che ho fatto rotta verso il Marais, dove ho visitato il Mahj, il museo d’arte e storia ebraiche. In tutta onestà ne sono stata leggermente delusa, perché mi aspettavo che avesse un focus più potente sulla storia degli ebrei di Francia, e non dell’ebraismo lato sensu. Mi sarebbe piaciuto un indirizzo un po’ più specifico della collezione permanente, con un chiaro rimando alla storia francese. Nondimeno mi sono goduta la visita e ho apprezzato moltissimo la parte sull’affaire Dreyfus e quella sui costumi tipici delle donne sefardite e la presenza di uno Chagall. Ecco qualche scatto:

Il giorno successivo ho proseguito il mio percorso cimiteriale in modo inaspettatamente personale, addirittura con un legame familiare importante.

Cominciamo dalla visita a Montmartre, che mi ha riportata nel Sacré Coeur, chiesa eretta per espiare i peccati della Comune, in stile neo-bizantino, e che onestamente è più bella fuori che dentro. Discesa a piedi per le stradine di quel vicoletto, con un ciao-ciao al Moulin de la Galette, il ristorante che compare anche in uno dei quadri più celebri di Renoir.

Ero già venuta due volte al cimitero di Montmartre prima di questa visita; la prima volta con mia madre, per i miei diciotto anni, e la seconda col mio fidanzato di jeunesse, da neo-laureata. Ero affascinata dalle personalità che vi sono sepolte, dall’atmosfera romantica e decadente del luogo.
Chi lo sapeva che qui riposano le spoglie degli antenati di colui che poi sarebbe diventato mio marito? Sono passata per ben due volte di fronte alla cappellina della famiglia Vaubourzeix, in vita mia, senza sapere che quel cognome così particolare sarebbe divenuto importante per me. E non finisce qui, perché non si tratta di una famiglia qualunque! Infatti all’entrata del cimitero ci hanno spiegato che la cappelletta è catalogata come monumento di interesse per la storia parigina, in quanto vi riposano le spoglie di una personalità storica: si tratta dell’antenato di mio marito, Hippolyte Vaubourzeix, orafo e gioielliere a Parigi nel XIX secolo, con una boutique al numero 19, rue de la Paix.

Che storia incredibile…

Oltre alla cappellina di famiglia sono passata a visitare altre persone a me care sepolte lì (non tutti quelli che avrei voluto, viste le tempistiche, ma alcuni sì) e ho fotografato tombe israelitiche molto interessanti. Ah, ho anche visitato la tomba dei Sanson, i boia della rivoluzione.

La serata è stata meravigliosa, perché sono andata al Teatro de la Comédie Italienne, a rue de la Gaieté. Lo spettacolo à l’affiche si intitola ‘Et vive la Commedia dell’arte!’, lo consiglio a chiunque passi per Parigi nei prossimi mesi.

Il giorno seguente, 11 novembre, mio compleanno, ho avuto modo di trascorrere qualche ora in compagnia di Leonardo, Raffaello, Mantegna, Giotto, Carracci, Caravaggio, Veronese, Perugino, Canova, Paolo Uccello, Delacroix, Ingres, David, Gericault… Proprio così: la mattina sono stata al Louvre, dove ho rivisto le pièces de resistance della collezione, specie tutte quelle opere che Napoleone ci ha rubato vergognosamente. Ammetto di esser quasi svenuta di piacere panico, come un attacco della sindrome di Stendhal.

Ho apprezzato molto anche il nuovo allestimento dei gioielli reali nella Galleria d’Apollo e la nuova sistemazione della galleria delle statue greche, con la Venere di Milo regina in fondo alla sala.

Il pomeriggio ho festeggiato il mio compleanno, e la sera mi sono goduta una cena al Georges, ristorante sul tetto del Centro Pompidou, con una vista molto bella su Parigi. Un compleanno memorabile!

Venerdì è stata una giornata interamente dedicata al Castello di Versailles. Prima di andare a prendere la Rer, però, sono riuscita a vedere due posti, a Parigi, a cui tenevo in modo particolare. Il primo è la Chapelle de la Medaille Miraculeuse, di cui non ho scattato foto perché è stata una visita spirituale. Il secondo è stato l’hotel Lutetia, poco lontano dalla Chapelle.

Questo albergo di lusso è molto importante nella storia ebraica di Parigi, perché quando i lager nazisti furono liberati e i pochi prigionieri che erano stati salvati poterono tornare a casa, fu proprio al Lutetia che i sopravvissuti parigini furono ricoverati per mesi, al loro ritorno in città. Dall’aprile al luglio 1945 centinaia di famiglie che si erano salvate fortunosamente, nascondendosi o scappando, venivano ogni giorno ad aspettare madri, padri, figli, fratelli, sorelle, cugini, mariti, mogli… insomma, ad attendere e a sperare che tra i pochissimi sopravvissuti vi fosse un loro caro. Ecco la foto dell’entrata del Liutetia e della placca commemorativa.

Dopo questa deviazione cittadina, via a prendere la Rer, direzione Versailles Chateau! Purtroppo la sala della pallacorda è attualmente chiusa per restauro, ma sono stata felice di visitare il Grand e il Petit Trianon, che nel viaggio precedente avevo purtroppo negletto.

Sabato il tempo è stato meno clemente: sebbene non sia piovuto a catinelle, le nuvole sono state le compagne fedeli della giornata. Ma non mi sono lasciata scoraggiare nemmeno un po’. Capatina veloce a Trocadéro per una foto con la Lady di Ferro a parte, sono andata a trovare una persona a me carissima al Cimitero di Passy, poco lontano:

E poi via dritta alle catacombe di Parigi, un luogo che desideravo tantissimo visitare e che mi ha dato tanto materiale per la prossima stagione dei podcast di De amore Gallico. Per il momento accludo solo qualche scatto, senza approfondire la materia: stay tuned, ben presto chiacchiereremo assai su questo argomento!

Nel pomeriggio di sabato, oltre ad essere tornata al Marais per delle compere, sono passata nel quartiere Bastille per visitare una bottega davvero eccezionale: la Galcante. Si tratta di un’emeroteca storica che conserva tantissimi giornali e riviste antichi. Potete trovare Le Figaro o Le monde del giorno in cui siete nati, per fare solo un esempio. Davvero un indirizzo parigino imperdibile.

Sabato sera mi sono goduta un bellissimo spettacolo al teatro De la Michodière, a due traverse dall’Opéra Garnier. A l’affiche la commedia ‘Le système Ribadier’ di Georges Feydeau. Una serata divertente, attori di altissimo livello, un testo che ancora oggi fa ridere a crepapelle. Ho concluso questo soggiorno in una brasserie di fronte al Teatro dell’Opera, un locale chiamato ‘L’entracte’ il cui mobilio d’antan si addiceva perfettamente al sapore di fin de siècle della soirée.

Visto che rue de la Paix era a qualche metro da lì, sono passata a dare un’occhiata al numero 19, dove sorgeva la boutique del gioielliere Hippolyte Vaubourzeix. Ancora oggi i locali sono occupati da un negozio di bijoux, Waskoll.

In sette giorni ho visitato tutte queste belle cose e ne ho tralasciate forse il quintuplo, ma a Parigi ci si deve sempre tornare e si deve sempre lasciare qualcosa di non visto, non fatto, non visitato per la volta successiva…

Ho già la lista delle cose da fare per il prossimo soggiorno: una visita al Memoriale del Vel d’Hiv, un pomeriggio al Museo d’Orsay, che questa volta ho tralasciato, avendolo già visitato spesso, un giro al cimitero di Picpus, una visita alla Chiesa della Madeleine, un giro più approfondito degli Champs Eylsées, dei grandi boulevard, al primo arrondissement, ma specialmente un giro tematico sui posizionamenti delle barricate della Comune di Parigi, una visita alla sala d’armi Coudurier, al Parc Monceau, alla Conciergerie, a Place Vendome, a Place des Vosges, alla casa di Nicolas Flamel, agli archivi nazionali, una cena al Procope, un pranzo al Moulin de la Galette e poi mostre, mostre, mostre, musei…

Parigi non smetterà mai di piacermi.

Asta dei gioielli di Maria Antonietta

Novembre sarà un mese molto interessante per tutti gli appassionati della Regina Maria Antonietta. Infatti Christie’s metterà all’asta, nella sua sede di Ginevra, nientemeno che i diamanti della sfortunata sovrana caduta sotto la lama della ghigliottina. Sono oltre cento e si trovano incastonati in due bracciali preziosi. Di taglio antico, tuttora indossabili e valutati tra i due e i quattro milioni di dollari, saranno sicuramente venduti ad una cifra vertiginosa come è accaduto nel 2016 quando Sotheby’s mise all’asta un ciondolo di diamante, anch’esso appartenuto a Marie-Antoinette, che fu acquistato per 36 milioni di dollari.

L’esperto di Christie’s Vincent Meylan, autore di numerosi volumi sulla storia della gioielleria e delle case più rinomate, ha trascorso ben tre anni a tracciare meticolosamente la provenienza e le vicende attraverso cui queste gemme preziose sono arrivati a noi, dal XVIII secolo fino al 2021.

La storia dei favolosi diamanti di Marie-Antoinette inizia nel 1794, l’anno dopo la tragica fine della regina, ghigliottinata il 16 ottobre 1793, quando a Bruxelles il conte Mercy Argenteau, che era stato ambasciatore austriaco in Francia per un intero ventennio ed aveva intessuto una sincera amicizia con la sovrana, aprì davanti a testimoni e notai un cofanetto di gioielli che gli era stato affidato da Marie-Antoinette stessa nel marzo del 1791.

Tali date sono supportate da testimonianze di tutto rispetto, come un inventario redatto su richiesta di Mercy Argenteau stesso, il giorno dell’apertura di quel cofanetto. In questo inventario, infatti, si menzionano:

Un paire de bracelets, dont les deux barrettes sont composées de 3 diamants, dont un gros au milieu, les deux barrettes servant de fermeture sont composées de 4 diamants chaque et 96 chastons.

Nel gennaio del 1796 la figlia di Marie-Antoinette, Maria Teresa Carlotta di Borbone-Francia, Madame Royale, Duchessa di Angoulême, Delfina di Francia, liberata dalla Prison du Temple dopo ben due anni e mezzo di prigionia, unica sopravvissuta della famiglia reale, ricevette in eredità tutti i gioielli della madre, o almeno quelli che erano stati salvati dalla tempesta rivoluzionaria. La Madame Royale apportò delle modifiche ai bracciali, nella fattispecie alle barrette, facendo aggiungere un quinto diamante.

La nostra curiosità non è però ancora interamente soddisfatta: a chi Marie-Antoinette aveva commissionato questi preziosi? Nient’altri che al suo gioielliere di fiducia, ovviamente, il famoso Boehmer. La sovrana li acquistò nel 1776, quando già era oberata di debiti. Pare, a quanto riporta Vincent Meylan, che nel 1777 il re Luigi XVI fu costretto a saldare un conto di 29 000 livres al gioielliere. Poca cosa, visto che ne restavano ancora 16 2660 da pagare!

Alla morte della Madame Royale, la cui vita è degna di una collana interi di romanzi, i suoi gioielli furono ereditati dalla nipote, Duchessa di Parma. Nel testamento i preziosi che saranno messi all’asta sono menzionati come ‘i bracciali di diamanti di Marie-Antoinette’. Altri gioielli appartenuti alla Duchessa di Angoulême si trovano nella Galleria di Apollo al museo del Louvre, a Parigi, tra cui il meraviglioso, glorioso diadema di diamanti e smeraldi di cui ho largamente parlato in un articolo che potete trovare a questo link.

Aspettiamo con curiosità l’esito di questa asta e anche l’uscita, nel 2022, di un libro intero dedicato ai gioielli di Maria Antoinetta scritto da Vncent Meylan, che si andrà ad aggiungere alla sua bibliografia già nutrita ed interessantissima.

Tutte le foto di questo articolo sono state prese dall’account Instagram di Vincent Meylan e appartengono ai loro legittimi proprietari.

Alchimia, massoneria, furfanteria e libertinaggio: quel fil rouge licenzioso e oscuro tra Italia e Francia

Il settecento è un secolo magico: non solo corrisponde al periodo delle grandi rivoluzioni, ma, nella sua struggente bellezza e contraddizione, può esser considerato il canto del cigno di un’epoca dorata che si conclude con la decapitazione dell’ancien régime a Place de la revolution.
Personaggi di varia levatura intellettuale e di diverso carisma intrecciarono i loro percorsi per le contrade europee, in quel periodo. Oggi voglio dipanare quella fitta matassa di fili per tessere una piccola rete di coincidenze e curiosità che, spero, appassionerà il lettore.

Comincio da Venezia, città libera e indipendente che ha partorito spiriti peculiari e avventurosi. Uno tra tutti fu Giacomo Casanova (Venezia, 2 aprile 1725 – Dux, odierna Duchcov, 4 giugno 1798). Figura affascinante, tanto charmant da diventare un’antonomasia, privilegio concesso a pochi. Furono lui e le sue prodezze ad ispirare il Don Giovanni mozartiano? È vero che mise mano al testo di qualche scena dell’opera? Probabile. D’altra parte è storicamente provato che Casanova conobbe personalmente, tra Francia e Boemia, sia il coprolalico ed infantile genio austriaco (Salisburgo, 27 gennaio 1756 – Vienna, 5 dicembre 1791), sia il librettista Lorenzo da Ponte (Ceneda, 10 marzo 1749 – New York, 17 agosto 1838), veneto anche lui.
Ecco un altro libertino impenitente. C’è da scommetterci che Casanova e Da Ponte fossero una bella coppia d’assi e non meraviglia che avessero intrecciato una solida amicizia, cementata forse dalla condivisione del debole per il gentil sesso.
Lorenzo da Ponte, nato Emanuele Conegliano, israelita, fu fatto cristiano per volere del padre che, dopo una lunga vedovanza, volle risposarsi con una goyà. Entrato in seminario, affinò le proprie capacità di scrittore e prese i voti, salvo poi farsi bandire dalla Serenissima per “pubblico concubinaggio”. L’amor sacro non interessava tanto Da Ponte quanto quello profano. Dunque, cacciato da Venezia, peregrinò tra Gorizia e Dresda per arrivare, nel 1781, a Vienna. Là conobbe Mozart e, sebbene le sue annotazioni in proposito siano eccezionalmente stringate, la collaborazione tra loro fu talmente proficua da produrre le cosiddette tre opere italiane, che sono anche le più conosciute della produzione mozartiana.

Se Casanova e Da Ponte condividevano origini venete e libertinaggio e se Mozart e Da Ponte furono stretti collaboratori a Vienna, Casanova e Mozart, oltre che dal Don Giovanni, sono accomunati da un ulteriore fattore: la massoneria.
Che cos’è più emblematico del settecento se non la massoneria? In un mondo ancora attaccato alle vecchie regole feudali, è stata proprio lei a permettere ad individui come Casanova e Mozart di entrare in contatto con la casta del potere: Casanova non era altro che il figlio di attori e ballerini, Mozart veniva da una famiglia di musicisti. Gli artisti, per quanto acclamati, erano relegati agli appartamenti della servitù, mangiavano al tavolo dei valletti. Fu grazie alla loggia massonica che poterono invece sedere alla mensa dei potenti, rapportarsi con loro da uomini a uomini, non più da popolani a nobili. In tal senso, dunque, nulla fu più illuminista e rivoluzionario della massoneria.
Forse fu merito della rete di contatti sviluppata dalla Loggia che Casanova ebbe l’occasione di fare un incontro per la descrizione del quale scrisse numerose pagine nelle sue Memorie. Ferney, Svizzera, 1760: Casanova andò a trovare Voltaire (Parigi, 21 novembre 1694 – Parigi, 30 maggio1778), probabilmente il più importante intellettuale del ‘700, l’acerrimo rivale di Rousseau, vicino al quale per ironia della sorte è sepolto al Panthéon di Parigi.

Voilà le plus heureux moment de ma vie. Il y a vingt ans, Monsieur, que je suis votre écolier.

Il libertino lo considerava suo maestro, come potete leggere, ed era profondamente affascinato dai suoi scritti, sebbene fossero estremamente critici verso la classe sociale a cui lo sciupafemmine aveva desiderato di appartenere a pieno titolo per tutta la vita. Prova ne sia il passo delle sue Memorie in cui narra di quanto s’affannò per attirare l’attenzione di una nobile della corte di Versailles, famosa ancor oggi per la sua bellezza, una donna che esercitò il suo fascino non solo sul suo “prestigioso” amante (nientemeno che il re Luigi XV), ma anche su un circolo di dotti e intellettuali ch’ella riuniva nel suo salotto, il cui fiore all’occhiello era proprio, guarda un po’, Voltaire. Sto parlando di Madame de Pompadour (Parigi, 29 dicembre 1721 – Versailles, 15 aprile 1764).

È a questo punto che voglio introdurre un’altra figura. La sua identità è misteriosa, avvolta in una nebbia che è più impenetrabile del tempo. Costui è legato per diversi gradi a ciascuna delle persone che ho già citato in questo articolo. Quando si dibatte su quest’uomo si dà spazio a congetture e a possibilità di ogni sorta. Il buon senso si fa da parte per permettere alla mente di accettare cose inimmaginabili. Per citare un autore più recente

Una volta eliminato l’impossibile, ciò che resta, per quanto improbabile, deve essere la verità.

Molti di voi avranno già trovato per caso in qualche testo il nome del Conte di Saint Germain (23 febbraio 1712? – Eckernförde, 27 febbraio 1784?).
Chi era costui? Non so dirvelo. Un massone, questo è sicuro, introdotto in diverse logge. Un alchimista, è risaputo. Un mago, è stato detto. Un Illuminato, hanno vociferato. Un immortale, si è sentito dire. Apparso in luoghi distanti e diversi allo stesso momento, testimonianze lo riportano, vissuto per un tempo indefinito, forse tuttora in vita, forse ancora giovane e uguale al se stesso di sempre. Gli si attribuisce la paternità di un libro ermetico e magico chiamato La très sainte Trinosophie.

saintgermain

L’unica cosa sicura è che questo Conte di Saint Germain è stato conosciuto da Casanova, quando questi si dilettava in esperimenti di magia e di alchimia; da Mozart, che ne lodava le abilità col violino; da Madame de Pompadour che lo introdusse alla corte di Francia; da Voltaire, che scrisse di essere impressionato dalla capacità del Conte di rimanere sempre giovane e immutato, anche a distanza d’anni.

C’est un homme qui ne meurt point, et qui sait tout.

Casanova, colpito dall’aura che circondava il misterioso nobile, gli riconosceva sapere e poteri. Nella sua autobiografia vi sono dei passi in cui riporta i discorsi del Conte a proposito del Concilio Tridentino: ne parlava come se vi fosse stato veramente, come se avesse visto e sentito tutto con i suoi occhi e le sue orecchie. Tuttavia il donnaiolo veneziano detestava il fatto di passare in secondo piano, agli occhi delle dame, nel momento stesso in cui il Conte faceva il suo ingresso nella stanza. Fu forse a causa di questo risentimento che arrivò a provocarlo a casa di Madame d’Urfé (1705 -13 novembre 1775), eccentrica dama francese, famosa al tempo per i suoi esperimenti magici e spiritici.
Questa donna costituisce uno snodo importante: ella fu un punto di contatto tra l’enigmatico Conte, Giacomo Casanova ed un altro italiano, un siculo per la precisione, anch’egli diventato antonomasia nella nostra lingua. Un furfante, un cialtrone, un lenone, uno spregiudicato massone e sedicente mago che si faceva chiamare Conte di Cagliostro (Palermo, 2 giugno 1743 – San Leo, 26 agosto 1795).

La D’Urfé praticava magie e sedute spiritiche. Fu Cagliostro, a quanto pare, ad evocare per lei l’anima di Paracelso e di un altro mago del passato. Fu il Conte di Saint Germain a lavorare con lei a pratiche alchemiche che includevano la cabala e la pietra filosofale. Fu Casanova a praticare riti e magie “rigeneratrici” assieme a lei.
Tralasciando il fatto che oltre ai sortilegi e alle stregonerie condividevano anche il letto, Casanova pare abbia attinto abbondantemente dalla borsa della marchesa, forte della credulità di lei e della propria impunità.

La magia e le logge massoniche fecero sì che Casanova e Cagliostro, come ho detto comuni conoscenti di madame d’Urfé, si incrociassero ad Aix-en-Provence, in un’osteria. Il donnaiolo veneto fece da cicerone al furfante e alla di lui moglie, poi insieme si diedero ad esperimenti alchemici e magici.

Cagliostro conobbe anche Saint Germain, e qui la cosa si fa interessante. Pare che i due fossero stati collaboratori: quando Cagliostro fu trasferito alla Rocca di San Leo per il carcere a vita, nella sua vecchia cella di Castel Sant’Angelo fu ritrovato proprio La très sainte Trinosophie. Sembra che la frequentazione tra i due alchimisti abbia avuto luogo a Parigi, negli anni in cui, presumibilmente, Cagliostro prese parte anche al famigerato affaire della collana, uno scandalo che coinvolse in prima persona la sventurata regina Maria Antonietta (Vienna, 2 novembre 1755– Parigi, 16 ottobre 1793). Ella stessa ebbe modo di conoscere personalmente il Conte di Saint Germain. La storia narra che nel 1774, all’indomani della morte di Luigi XV, avvenne l’incontro tra la sovrana e il mago: egli le predisse un funesto futuro, in cui la monarchia sarebbe stata rovesciata. Più volte, in seguito, il Conte fece pervenire messaggi a Maria Antonietta, per avvisarla, per metterla in guardia. Sappiamo che questi tentativi non ebbero un esito positivo.
La Bastiglia, che negli anni ’10 del ‘700 aveva avuto come illustre ospite lo stesso Voltaire, perseguitato per i suoi scritti satirici, fu presa il 14 luglio 1789. Meno di due settimane prima un detenuto del carcere parigino, affacciatosi attraverso le sbarre della finestra della sua cella, aveva urlato alla gente di sotto, in strada:

«Qui stanno sgozzando i prigionieri!»

In conseguenza a quest’atto di ribellione, il 4 luglio il prigioniero fu trasferito al manicomio di Charenton. Costui altri non era che il marchese Donatien-Alphonse-François De Sade (Parigi, 2 giugno 1740 – Charenton-Saint-Maurice, 2 dicembre 1814), anche noto come il Divin Marchese, il massimo perverso, il libertino più sfrenato e malato che la storia ricordi.

Il 16 ottobre 1793 Maria Antonietta, che nell’infanzia aveva anche fatto la conoscenza dell’impertinente Mozart, fu decapitata e l’Illuminismo giunse alle sue estreme conseguenze con il periodo del terrore. Un mondo tramontava, l’epoca moderna vedeva la sua fine e presto sarebbe iniziata quella che i manuali di storia riportano comunemente come “epoca contemporanea”.