La bête du Gevaudan, un caso ancora aperto?

Tempo fa sono andata a Marsiglia a trovare i parenti del mio compagno. Suo nonno, in quell’occasione, mi ha raccontato la storia della Bestia del Gevaudan.
Oggi voglio riferirvi la vicenda e tutte le speculazioni che nei secoli sono fiorite attorno a questi sanguinosi fatti, facendoli divenire un caposaldo dell’archeocriptozoologia quasi quanto il Sasquatch, lo Yeti, il Chupacabras o il mostro di Loch Ness.
Insomma: animali fantastici e dove trovarli, per citare J.K.Rowling.

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Incisione dell’epoca

I fatti si svolsero nel XVIII secolo, in una regione chiamata Gevaudan, oggi conosciuta come Lozère. Il nonno del mio compagno mi ha mostrato in un atlante dove si trova questo luogo e io riporto la cartina per maggiore accuratezza geografica. In quel tempo la provincia del Gevaudan era territorio prevalentemente dedito alla pastorizia, con diverse fattorie sparse qua e là per la campagna punteggiata di villaggi sparuti e poveri. La rivoluzione non sarebbe avvenuta che dopo qualche decade; i mezzi di comunicazione, le strade e il tenore di vita del popolino che abitava la regione  lasciavano molto a desiderare. gevaudanTutto questo non fece che aumentare l’aura di mistero e di terrore che avviluppò la vicenda, anche quando i racconti di quanto stava accadendo in quella remota provincia del centro-sud francese giunsero alla corte di Versailles, dove fu costituita una sorta di task force militare con il compito specifico di gettar luce sull’oscura e tragica sequela di morti e di stanare la bestia.

Andiamo con ordine: nell’aprile del 1764 una giovane pastora fu attaccata da un essere mostruoso, dotato di lunghi canini. La ragazza sopravvisse perché furono le mucche di cui si occupava a salvarla, intervenendo in branco.
Il sito “L’ombre de la bête” riporta che i testimoni oculari descrissero l’essere:

un corps massif, les oreilles courtes, un pelage fauve parcouru de bandes sombres, une bande noire sur le dos, la queue grosse et touffue, et une tache blanche en forme de cour sur la poitrine. Autre détail important: aucune victime ni témoin ne parlera jamais d’un loup.

Non passò molto tempo che la bestia riuscì ad uccidere qualcuno: era il 30 giugno e la vittima fu un’adolescente, Jeanne Boulet. Si susseguirono non meno di 124 morti in circa tre anni. La maggior parte delle vittime erano donne e bambini, sorpresi da soli nei pascoli mentre gli armenti si cibavano. La solitudine al momento dell’attacco era in qualche modo l’elemento in comune a tutte le aggressioni, insieme alla morte per sgozzamento. I corpi, poi, venivano mangiati, anche solo parzialmente. La bestia che aggrediva gli umani, nonostante non avesse in alcun modo l’aspetto di un lupo, venne subito bollata come lupo mannaro, loup garou, cosa che portò ad una strage di animali innocenti in tutta la regione. Altri dissero che si trattava di mastini particolarmente grossi, o di ibridi bizzarri, allevati da qualche famiglia di malintenzionati apposta per aggredire gli umani. Una sorta di Mastino dei Baskerville in piena campagna francese, senza le soluzioni fluorescenti e i mozziconi di sigaretta tanto cari a Conan Doyle.gevaudan2
Si pensò anche che la bestia fosse un animale messo sotto incantesimo da qualche magone che abitava nei paraggi, il quale amava stregarla per i suoi sadici scopi. Nella fattispecie, si sarebbe trattato di Jean Chastel, sospettato di essere un meneur de loups.
Altre teorie affermano che la bestia era in verità un animale esotico, come una iena o un licaone, magari giunto dall’Africa per divertire qualche nobiluomo bizzarro che voleva tenerlo in gabbia nel proprio giardino: l’animale, poi, sarebbe riuscito a darsi alla fuga fortunosamente, vivendo da allora come vagabondo in un habitat non suo.

Il 12 gennaio 1765, quando la bestia cercò di attaccare nuovamente, un gruppo di ragazzini riuscì a scacciarla, ligi al detto “l’unione fa la forza”. Re Luigi XV fu così colpito dall’audacia di quei fanciulli che donò loro 300 soldi.

Le morti continuarono e, come riporta il sito ufficiale del museo della Bestia del Gevaudan:

De 1764 à 1767, deux animaux (l’un identifié comme un gros loup, l’autre comme un canidé s’apparentant au loup) furent abattus. Le gros loup fut abattu par François Antoine, porte-arquebuse du roi de France, en septembre 1765, sur le domaine de l’abbaye royale des Chazes. À partir de cette date, les journaux et la cour se désintéressèrent du Gévaudan, bien que d’autres morts attribuées à la Bête aient été déplorées ultérieurement. Le second animal fut abattu par Jean Chastel, enfant du pays domicilié à La Besseyre-Saint-Mary, le 19 juin 1767. Selon la tradition, l’animal tué par Chastel était bien la Bête du Gévaudan car, passé cette date, plus aucune mort ne lui fut attribuée.

Sì, proprio lo stesso Chastel sospettato di essere meneur de loups. Giusto per aggiungere ulteriore foschia al quadro.
Alcune testimonianze di sopravvissuti hanno portato, nel tempo, a razionalizzare i fatti, mettendoli in un’ottica meno favolistica, forse, ma assai più inquietante, perché la realtà supera sempre di molto la fantasia, nel bene e nel male.
Riporto di seguito quanto scritto nella monografia “Notes sur ‘La bête du Gevaudan’ de Pascal Cazottes” redatta da Robert Dumont:

Il est flagrant que, sur le nombre de victimes (plus de 100 même en ne considérant que les estimations les plus restrictives), certaines ne sont pas imputables à la Bête elle-même. Les hommes étant ce qu’ils sont, il est inévitable que, lorsque sévit un « tueur en série » (qu’il soit humain ou animal), d’aucuns profitent de la circonstance pour régler un compte personnel, avec la quasi-certitude que ledit tueur endossera sans problème quelques meurtres de plus. Il semble également que, durant ces sanglants évènements, se soit manifesté un personnage plus ou moins « déguisé » en animal. Le 11 août 1765 la Bête attaque Marie-Jeanne Vallet, servante du curé de Paulhac. Notons au passage que pour ce faire, la Bête se dresse sur ses membres postérieurs. Sans perdre son sang-froid, Marie-Jeanne Vallet lui allonge un coup de baïonnette en plein poitrail. La Bête pousse un cri déchirant et porte l’une de ses pattes antérieures à sa blessure. A-t-on jamais vu un quadrupède accomplir un tel geste ? 

Gli attacchi sferrati in modo sistematico, con il modus operandi di cui sopra, a posteriori fanno pensare non solo ad un uomo, ma ad un gruppo di uomini, forse dedito a rituali magici di qualche tipo, che si dilettavano nella caccia all’umano nascondendo le loro fattezze sotto una pelle d’orso o di lupo. Una qualche setta, forse, contraddistinta da sadismo e perfidia.gevaudan4
Un’altra teoria afferma che il responsabile di questi attacchi potrebbe esser stato un uomo affetto da ipertricosi, emarginato dalla società per questa sua triste condizione, ridotto alla follia e assetato di vendetta nei confronti degli altri.
Ancora, si è pensato che gli autori di tutto l’affaire siano stati dei soldati divenuti antropofagi per necessità, di ritorno dalla guerra dei Sette Anni e nascostisi nelle campagne, ridotti ad uno stato psicologico di profonda prostrazione ed aggressività.

Comunque sia, la bestia del Gevaudan costituisce tuttora un mistero su cui gli appassionati di archeocriptozoologia continuano ad arrovellarsi. Che cos’era? O forse è meglio domandarsi chi era? Le ipotesi più disparate compongono questo puzzle misterioso e affascinante, sì, ma specialmente terribile, perché macchiato dal sangue di più di un centinaio di innocenti periti in circostanze davvero drammatiche.

Dimmi che cimitero hai e ti dirò che paese sei, ovvero: uomini che ci provano con le donne.

Per comprendere a fondo una civiltà, tre sono le cose che, svelandone il cuore, ci pongono di fronte alla sua essenza. Potremmo utilizzare la tabella kantiana delle categorie e soddisfare ciascuna di esse prendendo ad esempio questi tre soli parametri: arte, cibo e culto dei morti. Non sono la prima a dirlo, ovviamente: Foscolo ci ha basato una poetica, su quest’ultimo punto.
Tali sono i motivi che, quando viaggio, mi spingono ad orbitare attorno ai cimiteri come la luna attorno alla terra.
Ho visitato cimiteri inglesi, tedeschi, portoghesi, israeliti, giordani, egiziani, ma nessuno, nemmeno i tanto famosi camposanti britannici (come ci insegna Thomas Gray), mi hanno mai dato l’emozione che provo quando varco la soglia di un cimitero francese.
Sarà forse che è proprio su questo suolo che per primo ha avuto effetto il napoleonico editto di Saint Cloud (sempre a Foscolo torniamo).
Nel giugno scorso, seguendo il mio istinto di viaggiatrice sui generis, visitai il cimitero di Cogolin, un piccolo paese provenzale nell’entroterra del golfo di Saint Tropez, girovagando tra le tombe nella luce dorata di un pomeriggio inoltrato di mezza estate.
Ero la sola visitatrice della necropoli. Ovviamente, dopo aver aver avuto il piacere di contemplare diverse volte i celebri cimiteri parigini, questo piccolo camposanto provenzale non mi colpì di certo per le sue peculiarità architettoniche. Ma il caso volle che una serie di fatti avvenissero nel mentre della mia visita.
Camminai assorta tra le tombe, annotando mentalmente i cognomi più salienti, le date (nessuna antecedente al 1830), le dediche riservate ai cari estinti. Nessuna piccionaia come quelle che troviamo in Italia, ma la classica sepoltura a terra, con lastre di marmo a custodirne l’apertura era il tipo di sepolcro più comune. Trovai la tomba di una certa famiglia Rimbaud. Allora fantasticai lungamente: potevano essere lontani parenti del celebre poeta, il quale, d’altra parte, si spense a Marsiglia. Tempo dopo l’arcano mi fu svelato: in realtà si trattava di una famiglia che aveva molto poco di poetico nel proprio repertorio genetico.
Tornando al camposanto di Cogolin, rammento che un cippo commemorativo posto al centro esatto del cimitero ricordava i cittadini caduti in tre guerre: l’enorme sacrificio umano consumato nella prima guerra mondiale era onorato catalogando per anno il nome di ogni singolo cogolinese perito in trincea. Constatai poi che, sorprendentemente, la seconda guerra mondiale causò la morte di meno di una decina di cittadini. Uno solo, infine, spirò in Algeria.
Non c’erano sepolture ebraiche, né di altra confessione a me nota.
Mentre marciavo sulla ghiaia, alla volta del gruppo monumentale apparentemente più antico e malmesso, in mezzo a quella desolazione di morte, dalle case sottostanti risuonò forte e prepotente nell’aria un vagito di neonato, che mi colpì come un pugno allo stomaco. L’accostamento della morte alla vita nella sua espressione più potente e gioiosa fu in grado di provocare in me una sensazione di panico che raramente ho avuto modo di provare. Ero al culmine della mia felicità, credo, stordita, come drogata, come ubriaca. Era caldo, era tutto ovattato, solo il pianto del bambino era definito nella mia mente. Mi fermai e mi sedetti su una tomba. Per un attimo mi balenò in mente il Newton di William Blake… e poi tornai in me, per riprendere la caccia di dati e sensazioni di cui sempre sono affamata.
Uscii dal camposanto col petto ricolmo di consapevolezza del mio essere così incredibilmente umana: sangue, cervello, occhi, muscoli, viscere e merda che si muovono animati da chissà che cosa, una cosa di cui quel cimitero era pieno da scoppiare.
Feci il giro largo, per tornare a casa, passando davanti alla torre dell’orologio di Cogolin, l’ultimo bastione della cinta fortificata che fu distrutta nel XVI secolo durante le guerre di religione.
Ridiscesa nel centro del paese, ancora concentrata su ciò che avevo provato, fui riscossa bruscamente dai miei pensieri. Quasi mi feci investire da uno scooter lungo la via accanto al cinema. Il mio temperamento abbastanza irascibile mi condusse a lanciare un’occhiata carica di disgusto e rabbia al guidatore, il quale si rivelò essere, più che un idiota totale, un dongiovanni dei miei stivali: infatti non aveva trovato altro modo per avvicinarmi, farmi dei complimenti e chiedermi di uscire a bere qualcosa con lui se non provando ad investirmi.

Ai tre parametri sull’analisi della civiltà di cui sopra, io ora ne aggiungerei un quarto: il modo in cui gli uomini ci provano con le ragazze. Questo la dice molto lunga sulla cultura di una nazione!