La fioritura della lavanda in Provenza

La fioritura della lavanda in Provenza

La settimana scorsa ho avuto finalmente modo di visitare Manosque e Valensole e godere di uno spettacolo famoso in tutto il mondo: la fioritura della lavanda in Provenza.

Il sole cadeva a picco gettando i suoi raggi con noncuranza. Il vento soffiava lento e pigro mentre con la macchina ci inerpicavamo lungo le stradine che si arrotolano tra le colline e i campi. Ci fermavano spesso, ogni angolo meritava uno scatto. Quel colore fresco e semplice, così indissolubilmente legato al profumo di pulito del fiorellino, rinfrancava il corpo accaldato con la sua sola vista. Erano tappeti violacei che si stendevano a perdita d’occhio e che si donavano allo spettatore con elegante generosità.

Ma soprattutto era quello che io ho scelto di chiamare “il suono della lavanda” ad affascinarmi: i campi echeggiavano di ronzii di api affaccendate sulle spighe violette, intente a suggere i dolci nettari per poi portare il bottino goloso al proprio alveare o alla propria arnia. La terra rimbombava di questo tenero ronzio restituendolo centuplicato all’orecchio. Il suono della lavanda, il suono della terra e degli animali, semplici miracoli di vita e di natura.

Le distese di grano e di lavanda, il blu terso del cielo assolato, il verde dei boschi, l’ocra delle tegole sui tetti. Questa terra del sud francese è una tavolozza post-impressionista, un bouquet prezioso. Ma non bisogna lasciarsi ingannare dalle bellezze da cartolina: la lavanda fiorisce d’estate, quando il solstizio è trascorso e la luce già cede il passo ad una tenebra lenta e suadente; ammanta tutto piano piano e dolcemente, senza che ci si possa accorgere del consumarsi lento di un dramma naturale, ciclico. È il dramma del parossismo solare, che è già notte, che è già autunno.

Spero che le mie foto vi piacciano. Sono state scattate tutte nei dintorni di Valensole, Manosque e sulla spiaggia di Gigaro, di notte. La luna non era ancora piena, lo sarebbe stata la sera dopo.

Les gorges du Verdon e il villaggio della stella.

La vista del lac de la Sainte-Croix

Sublime e panica è la manifestazione della natura alle Gole del Verdon. Il fiume omonimo attraversa la montagna creando un budello turchese nel mezzo della roccia, un canyon di altezza vertiginosa, tra i 250 e i 700 metri di profondità.

Les gorges du Verdon

La corniche sublime è un percorso che permette di ammirare le gole percorrendole dal lato meridionale.

Una vista dei monti
Rapaci in volo

Una visita al villaggio di Moustiers Sainte-Marie, meraviglia nascosta tra i dirupi, è d’obbligo: oltre ad essere conosciuto per le faïences estremamente fini e delicate, il paesino ospita un santuario mariano al quale si accede dopo un’ardua salita che sa mettere a dura prova anche gli spiriti più devoti. Mentre si sale, col fiato corto e le gambe bollenti, si deve alzare il capo verso il cielo: una stellina dorata pende da una catena tesa in mezzo alle due pareti rocciose; essa adorna il cielo di Moustiers e veglia sui suoi abitanti. Vista da lontano, sembrerebbe la stella cometa che brillò sulla capanna della Natività, guidando i Magi da oriente. Secondo lo scrittore Frédéric Mistral essa fu un ex voto dedicato alla Vergine Maria da parte del cavaliere crociato Blacas. Egli fu fatto prigioniero dai saraceni. Pregò Maria di risparmiargli la vita e promise che, se fosse tornato sano e salvo nel suo villaggio, vi avrebbe fatto appendere una stella in suo onore.

Un tratto della salita verso il santuario
Mentre si sale verso la vetta
Verso il santuario
La ceramica di Moustiers

Se le prossime vacanze vi porteranno Oltralpe, fate pure le vostre foto ai campi di lavanda, sì, magari andate a fare il bagno a Pampelonne, certo, ma prendete il tempo di immergervi in questo angolo di Provenza selvaggio, antico, misterioso e ricco di fascino.

Pillola: la Santa Barbara e le tradizioni provenzali

Oggi, 4 Dicembre, è il giorno di Santa Barbara martire. Patrona dei vigili del fuoco, della marina militare, degli artiglieri, degli artificieri e degli architetti, è un personaggio storico attorno cui sono sorte moltissime leggende, nutrite senza dubbio dalla Legenda Aurea, il best-seller di Jacopo da Varagine, frate domenicano e grande agiografo vissuto nel Duecento.

Dicevamo, le vicende di Santa Barbara sono variegate e differenti, a seconda della fonte a cui ci si accosta per apprendere sulla sua vita. Ad ogni modo, tutte hanno alcuni tratti in comune: un padre orribile che la vuol costringere all’abiura del cristianesimo e che le fa subire tutti i più inenarrabili supplizi, la capacità di attraversare i muri, la volontà di far aprire una terza finestra nella torre in cui è rinchiusa per simboleggiare così la Santa Trinità, il dono del volo, qualche folgore qua e là sparsa che si porta via uomini malvagi che l’hanno osteggiata nella sua fede in Cristo.

In Provenza c’è una tradizione che riguarda il giorno di Santa Barbara: si devono mettere a germinare in tre ciotoline, con un po’ di terra o di cotone inumidito, tre manciate di chicchi di grano del raccolto precedente, o qualche lenticchia, o dei piselli. Se i chicchi germinano a dovere, allora l’anno venturo si prospetta buono, secondo l’adagio provenzale:

Quand lou blad vèn bèn, tout vèn bèn !

Quando il grano viene su bene, tutto andrà bene!

Perché le ciotoline debbono essere tre? Per simboleggiare la Santa Trinità, così come Santa Barbara insisteva tanto per far costruire una terza finestra nella torre in cui il padre la teneva prigioniera.

Buona Santa Barbara a voi, nella speranza di un anno in cui la terra dia buoni frutti e sia meno ferita dalle azioni dell’uomo. Un saluto dalla costa provenzale, martoriata dalle intemperie di queste ultime settimane.

Santa Barbara Martire

Ode alla tapenade

« Cantami, oliva, dell’aglio fragrante
e del cappero verde che infiniti adduce
sapori alla salsina, molti aliti olezza
con generose acciughe sotto sale,
e di olio e prezzemolo nobile pesto
col limone emulsiona (così di Provenza
l’alta cucina si fia), da quando
in aperitivo si degusta saporita tapenade
sul croccante pan francese col divin vino. »

 

La tapenade: croce e delizia. Delizia per chi la gusta, croce per coloro che devono sopportare l’alito del fortunato degustatore. Io, personalmente, la amo, la venero, credo che debba essere esaltata e che non se ne possa mai mangiare troppa. Salsa tipica della Provenza, non è un banale patè di olive, come potreste pensare, ma un sapiente connubio di sapori e di consistenze mediterranee.

Oggi per pranzo ne ho preparata una ciotola e, insieme al pane croccante, è stato l’apice di questa domenica dal tempo incerto e dal maestrale arrabbiato.

 

Voici la recette pour 6 personnes:

200 g d’olives noires dénoyautées
5 filets d’anchois à l’huile
8 petites câpres
1 gousse d’ail
3 cuillères à soupe d’huile d’olive
1 cuillère à soupe de jus de citron

Preparation:

Mettre dans le bol d’un mixeur les filets d’anchois, les câpres, la gousse d’ail hachée, les olives noires, le jus de citron et l’huile d’olive et mixer assez fin.

Bon appetit!

tapenade

Pillola: monsieur Serge

Monsieur Serge è un anziano francese che parla con il tipico accento del sud. I capelli, che sono argentati bluastri, gli ricadono lunghi sulle spalle. È sempre abbronzato e il profilo grifagno lo fa assomigliare ad una di quelle illustrazioni d’epoca de “I tre moschettieri”: gli mancano spada, cappello e stivaloni per fare un perfetto Athos.

Monsieur Serge era un pasticcere e ristoratore, da giovane. Ora è in pensione, ma non riesce a star fermo senza far nulla e talvolta svolge qualche lavoro come giardiniere.

Non è sposato, non ha figli, gli rimane solo una sorella che abita lontano. Fino a qualche mese fa le telefonava ogni settimana dall’ultima cabina telefonica del villaggio. Ora che anche quella è stata soppressa dalla compagnia telefonica, monsieur Serge si è visto costretto ad acquistare un cellulare. E tuttavia si ostina a non usarlo, preferendo scrivere alla sorella delle lunghe lettere, come si faceva una volta

Siccome era un pasticcere, quando la mattina scende all’edicola per ritirare il suo giornale acquista anche qualche gratta e vinci dal nome “Dessert en or”. Commenta le notizie del giorno, borbotta tra sé e sé, ride senza troppo curarsi di chi lo circonda. Esce a prendere il caffè, incontra i suoi amici del paese, specialmente monsieur Gegé, sempre con il cappello da pescatore e gli occhiali da sole, che aspetta il momento buono per scommettere sulle corse dei cavalli.

Monsieur Serge ama cucinare, però non ha nessun familiare per cui poterlo fare, così ogni giorno, a pranzo, prepara qualche cosa di buono e lo porta a Tonia, la bionda commessa dell’edicola, che gli vuole tanto bene.

Pillola: Renault 5 tra i vitigni

Ho una Renault 5 del 1988, è perfino più vecchia di me.
Ha solo quattro marce e tre porte, la carrozzeria è blu scurissimo, il tettuccio tutto bianco.
I finestrini si aprono e chiudono con la manovella, le portiere si aprono a mano e per farla partire serve dare molto gas.
I sedili sono ruvidi, graffiano le gambe.

Non so per quante mani sia già passata, ma mi piace pensare che qualcuno ci abbia perso la verginità, al suo interno, o che ci abbia fumato qualche spinello, o che ci abbia preso una sbornia o che una donna che stava per partorire ci abbia fatto il tragitto in ospedale.

Arranca sulle colline del Var, mi porta piano piano dove devo andare.

Pillola: profezie provenzali

Quando si parla di profeti e profezie è necessario fare i debiti distinguo: i profeti dell’antica Grecia o erano ciechi o non erano creduti da nessuno o prendevano droghe pesanti per avere delle visioni improbabili, quelli biblici avevano tutti dei nomi bizzarri che finiscono in “ele”, “ea” o “ia” (ia ia oh!).
Poi ci sono i catastrofisti, e tra questi spicca un solo nome: Nostradamus.

In realtà si chiamava Michel de Nostredame, nipote di un ebreo che si era convertito al cattolicesimo e che da Guy de Gassonet aveva mutato nome in Pierre de Nostredame.
Nacque a Saint-Rémy de Provence, cittadina famosa per aver ospitato nel suo manicomio il povero Van Gogh.
L’astrologo viaggiò per tutta la Francia, pare sia sceso addirittura in Italia, precisamente a Torino, città di grande importanza nelle discipline occulte. Dettagli sulla sua vicenda li trovate qui, qui e qui.

Muore di gotta divenuta idropisia a Salon de Provence, dove si era stabilito e dove aveva fondato anche una famiglia.
Per il resto, rimane il dubbio: vero profeta o grandissimo imbroglione? Questo è uno dei rari casi in cui, più che paradossalmente, ai posteri l’ardua sentenza non è dato di formularla.

nostradamus
Michel de Nostredame

Par ce signe tu vaincras / In hoc signo vinces

Il passaggio dal paganesimo al cristianesimo, a Roma, è vexata quaestio per gli storici. Sebbene si possa affermare che esso avvenne gradualmente, è possibile però, dall’altra parte, annotare due date chiave: la prima è il 313 d.C., quando viene emesso l’Editto di Costantino, col quale si sancisce la libertà di fede. La seconda è il 380 d.C., anno in cui l’imperatore Teodosio rende il cristianesimo religione dell’impero.

Tra le due figure storiche, quella di cui voglio parlare è Costantino, la cui vicenda è entrata a pieno titolo nella mitologia cristiana: è sufficiente pensare all’aneddoto del sogno. Esso è stato immortalato da innumerevoli artisti, nel corso dei secoli, Raffaello compreso, che affrescò l’ultima delle sue celebri Stanze in Vaticano con le storie dell’imperatore. A mio giudizio, tuttavia, la raffigurazione del sogno più significativa è quella di Piero Della Francesca, per il quale mio padre m’ha fatto sviluppare un’autentica venerazione. L’affresco è rivoluzionario e costituisce un esempio superbo dell’innovazione prospettica introdotta dal Della Francesca nella pittura: notare come la conicità della tenda sia così ben definita.

Dov’è il legame con la Gallia, direte voi? Beh, si dà il caso che Costantino s’addormentò e sognò l’angelo proprio da queste parti, in Costa Azzurra, più precisamente in un paesino a pochi km da Saint Tropez chiamato La Croix Valmer. Non serve spiegare che esso deve il nome proprio all’imperatore e alla sua mistica attività onirica. Qui, leggenda vuole, egli s’accampò e preparò i suoi uomini per la storica battaglia di Ponte Milvio, che pose fine a lotte intestine per il controllo dell’impero, concludendosi in favore di Costantino.

Il resto è storia.

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“Il sogno di Costantino” affresco di Piero della Francesca,  dipinto tra il 1458 e il 1466, Arezzo.

Pillola: vento e premio Nobel

Il Mistral, o Mistrau in provenzale, soffia violento sulla bassa valle del Rodano, specialmente in questo periodo, provocando un gran mal di testa, seccando le acque stagnanti nelle campagne e le narici nelle città.

Frédéric Mistral fu uno scrittore e poeta provenzale che nel 1904 fu insignito del Premio Nobel per la letteratura.

Un vento provenzale soffiò sulle contrade di Stoccolma.

 

 

Pastìs, un pasticcio alcolico occitano

Chi ha avuto modo di passare del tempo in Provenza, ha potuto gustare i diversi sapori e odori che la rendono una terra magica.

Una di queste fragranze è l’anice, ingrediente principale di una bevanda emblematica della città di Marsiglia, il Pastis. Da bere come aperitivo, diluito con acqua e rinfrescato da cubetti di ghiaccio, è un must per chiunque voglia godersi la città con in bocca il suo sapore più autentico.

Il nome del liquore deriva da una parola occitana, “pastìs“, che significa “miscuglio”, “pasticcio”, ma l’aperitivo alcolico viene anche chiamato pastaga. Fece la sua comparsa nel 1915, quando il governo francese proibì il consumo dell’assenzio, la fée verte, terribile musa ispiratrice di poeti e scrittori che son passati alla storia sia per il loro contributo alla letteratura che per essere stati i padri dello stile di vita “sesso, droga e rock ‘n’ roll”, con molta droga e niente rock ‘n’ roll. La fata verde, dicevo, fu proibita dal governo francese, preoccupato per la dilagante piaga sociale dell’alcolismo, ma fu sorprendentemente coadiuvato dalle case produttrici di vino, che avevano visto i loro affari cadere in disgrazia a causa della popolarità dell’assenzio.

Iniziò così la ricerca di un liquore commercializzabile, che avesse un gusto simile a quello dell’assenzio, che fosse composto di una varietà d’erbe aromatiche già utilizzate per la fata verde, ma con un tasso alcolico di molto inferiore. Questo mélange, allora, prese ad assumere dei connotati ben definiti, sebbene ancora fino al 1932 ciascun banco di mescita marsigliese avesse una sua propria ricetta: qualcuno aggiungeva più anice, qualcuno utilizzava più zucchero, ma nessuno di loro ebbe mai l’idea che invece fece la fortuna di un giovane ventenne marsigliese, tale Paul Ricard.

Figlio di un commerciante di vini, Ricard aveva una grande ambizione: fare il pittore. Suo padre, contrario all’aspirazione del figlio, lo obbligò ad entrare nell’azienda di famiglia. Nonostante lo sconforto dovuto a tale coercizione, il giovane non si diede per vinto e trovò il modo di esprimere la sua creatività tra alambicchi e profumi. Aggiunse al mélange di base, che allora costituiva la matrice della ricetta di questo pastaga, un ingrediente che rese la bevanda famosa in tutta la Francia: la liquirizia. Il successo fu enorme. Ricard disegnò anche la bottiglia e l’etichetta del liquore e, negli anni, creò campagne pubblicitarie innovative, sfogo di uno spirito creativo che non aveva potuto manifestarsi nella pittura.

Nel tempo, la ditta Ricard e la Pernod, altra grande produttrice di Pastis, si unirono e crearono la Pernod-Ricard, da cui, nel 1951 nacque anche un altro tipo di pastaga, il 51. Tale numero ricorda sia l’anno della sua creazione, sia le proporzioni con cui il liquore va consumato: cinque parti di acqua per una di Pastis.

Per riportare qualche dato, pensate che in Francia se ne consumano 130 milioni di litri per anno, l’equivalente di due litri per abitante. Si direbbe una bevanda irrinunciabile per qualsiasi francese. Forse è proprio per questo che l’attore marsigliese Fernandel diceva, a proposito del Pastis: “È come il seno femminile: uno non basta, tre sono troppi!”