Les enfants de l’île du Levant: una storia da non dimenticare

Tempo fa mi sono imbattuta in un libro chiamato “Les enfants de l’île du Levant” scritto da Claude Gritti, un pescatore natìo di Le Lavandou, poco distante da Hyères.

Al largo di queste coste si stagliano all’orizzonte quattro isole chiamate Les îles d’Or. Si tratta di Porquerolles, ormai meta turistica rinomata, Bagaud, alla quale è proibito accedere per la presenza di un numero esorbitante di ratti, Port Cros, più selvaggia e affascinante, e l’île du Levant, al giorno d’oggi divisa tra naturisti e militari, cioè quanto di più agli antipodi possa esserci.

Un giorno, a metà degli anni ’80, Claude Gritti, pescando attorno a quest’ultima isola, si vide obbligato a rientrare in porto a causa di una “mistralade” violenta. Chi bazzica queste coste conosce la potenza del maestrale che soffia dalla valle del Rodano e prende il cammino attraverso La Ciotat per giungere fino ai dintori di Saint Tropez. È un vento nervoso, che agli uomini causa gli stessi sbalzi d’umore che le donne hanno prima delle mestruazioni. Parole di marinaio che io riporto fedelmente.

Questo colpo di maestrale portò il vecchio pescatore Marius, che accompagnava Gritti, a dedicare un pensiero di compassione agli enfants de l’île. Gritti, incuriosito e ignaro di tutto, lo interrogò a proposito di questi bambini e fu così che venne a conoscenza della storia del bagno penale per minori istituito da Napoleone III sull’isola, rimasto aperto ed attivo per ben 19 anni. Gritti impirgò dei lustri a fare ricerche negli archivi, ad indagare, a ricostruire accuratamente la vicenda dei giovani carcerati. Poi, per caso o per destino, un giorno ebbe inaspettatamente accesso alla parte militarizzata dell’île e poté così visitare il sito militare che fu eretto sulle vestigia del bagno penale. Si recò dunque al cimitero in cui 99 giovani internati, all’incirca il 10% della popolazione della colonia agricola, furono seppelliti durante i vent’anni di attività di questo luogo orribile. La colonia penale vide rinchiusi tra le sue mura non solo piccoli delinquenti, ma anche semplici orfani, giovani vittime di pedofili scappati dai loro aguzzini, bambini ridottisi a rubare per fuggire alla fame, figli di prostitute o fanciullini considerati di troppo da genitori che avevano già molte bocche da sfamare a casa.
Napoleone III, che fondò anche gli altri famigerati bagni penali di cui ho già parlato nei post sull’affaire Seznec, diede l’autorizzazione alla fondazione di questa “colonia agricola” per svuotare le città dei piccoli gavroches che ne abitavano i bassifondi. Sulla carta erano dei luoghi in cui i giovani potevano apprendere i mestieri di contadino, carpentiere, meccanico, muratore, ma in pratica erano dei campi di lavoro forzato, in cui le condizioni igieniche, la malnutrizione e la mancanza di amore generarono morte, dolore, solitudine e malattia.

Claude Gritti ha scritto questo libro per ridare una voce agli enfants dimenticati, perché la loro storia non vada perduta nel tempo. Tessendo i fatti reali con le vicende personali dei piccoli, da lui inventate e liberamente immaginate, ha creato un racconto commovente, che mi ha toccata nel profondo del cuore. L’autore ha anche fatto erigere una stele a memoria dei giovani che sono deceduti sull’isola e che vi sono ancora seppelliti. Di seguito potete trovare la lista di coloro che riposano sull’île du Levant.

Il caso Seznec: 95 anni dopo è ancora mistero (parte ultima)

Dopo aver introdotto i protagonisti della vicenda ed aver dato un’idea delle loro rispettive posizioni sociali, attingendo sempre alle fonti già segnalate, eccoci all’ultimo capitolo, quello in cui si narrerà dei fatti veri e propri che portarono poi all’istruzione dell’inchiesta, alle indagini, all’accusa, al processo e alla condanna.

Seznec e Quéméneur erano dunque entrati in affari: la rivendita delle auto usate dall’esercito americano durante la Grande Guerra e abbandonate dopo l’armistizio era un mercato interessante che avrebbe potuto fruttare assai ad entrambi i soci. La prima di una lunga serie di vendite avrebbe dovuto aver luogo a Parigi. Fu così che il 24 maggio 1923 Seznec lasciò il proprio domicilio a Morlaix a bordo di una Cadillac da rivendere. Sarebbe dovuto passare a Rennes, dove, in un hotel, alloggiava Quéméneur, ed insieme avrebbero fatto il tragitto fino alla capitale, fino al loro compratore. La Cadillac, tuttavia, versava in condizioni pietose: consumava molta benzina, aveva problemi agli pneumatici e ai fari. Soste continue fecero arrivare Seznec in gran ritardo a Rennes. Sembra che, durante il tragitto Rennes-Parigi, esasperato dalla lentezza del viaggio, Quéméneur abbia chiesto a Seznec di fermarsi ad una vicina stazione ferroviaria per prendere un treno ed essere in città quanto prima per poter incontrare l’acquirente del veicolo, un certo Cherdy, che voleva comperarne ben cento.

Seznec riprese la via di Parigi ma, ad appena cinquanta chilometri dalla città, la Cadillac cadde di nuovo in panne. L’epopea durò diversi giorni. L’uomo decise di farla riparare alla bell’e meglio e di tornarsene a casa, preferendo lasciar perdere l’affare della compravendita, estenuato da tutti i problemi che la vettura aveva. Tornò a Morlaix la notte del 28 maggio.

Quéméneur non fu mai più visto.

Il 10 giugno il cognato di Quéméneur, il notaio Pouliquen, il fratello dello scomparso e Seznec stesso, andarono a deporre una denuncia di sparizione presso la polizia. Tre giorni dopo la famiglia ricevette però un telegramma firmato Quéméneur proveniente dal porto di Le Havre in cui si diceva che stava bene.

« Ne rentrerai Landerneau que dans quelques jours tout va pour le mieux – Quéméneur »

Successivamente l’accusa dimostrò con una perizia calligrafica che questo telegramma era stato in realtà stilato da Seznec. Sembra inoltre che, sempre a Le Havre, Seznec avesse acquistato una macchina da scrivere di modello Royal-10, con la quale aveva poi stilato dei documenti falsi in cui si diceva che Quéméneur aveva venduto un immobile a Seznec per una cifra irrisoria. Tali documenti furono rinvenuti nella valigia di Quéméneur, trovata in stato malconcio e con la serratura divelta alla stazione ferroviaria di Le Havre.

C’erano tutti gli elementi per istruire un’inchiesta per sparizione sospetta.

Da qui si potrebbe continuare a raccontare la storia in due modi: quello più affine al punto di vista degli inquirenti e dell’accusa, che, guidati dal cognato notaio Pouliquen e dal famigerato ispettore Bonny, noto collaborazionista della Gestapo durante la seconda guerra mondiale, riuscirono a far condannare Seznec, oppure quello sostenuto strenuamente dalla famiglia di Seznec e che continua tutt’oggi ad essere il motore immobile della riapertura del caso, delle nuove ricerche e della voglia di riabilitare il nome di quest’uomo nonostante siano passati 95 anni.

Premesso che io sono dell’idea che senza dubbio sono meglio cinque colpevoli a spasso per il mondo che un solo innocente dietro le sbarre, proseguirò questo racconto nel modo più neutrale possibile, sebbene non sia facile.

Seznec fu arrestato il 1 luglio 1923 e condotto al carcere di Quimper. Wikipedia riporta che:

Nella stessa città, sede della Corte d’Assise di Bretagna, si apre il processo nell’ottobre del 1924, processo che si svolge in un’atmosfera allucinante, carica di tensione e violenza. Il processo di primo grado, nella Francia di allora, prevedeva una sentenza inappellabile; e l’atteggiamento del presidente della corte, Dollin du Fresnel, è assai ostile all’imputato.

I testimoni a favore della difesa furono denigrati, parlarono inascoltati, e d’altro canto l’evidente fabbricazione di prove da parte di Seznec era più che sufficiente ad indicarlo come colpevole.
Si noti che il corpo di Quéméneur NON FU MAI TROVATO. Resti umani e una cartuccia furono rinvenuti anni dopo nella tenuta appartenente a Quéméneur e oggetto della falsa compravendita a Seznec, ma negli archivi giudiziari di queste prove non vi è traccia e la testimonianza di un pescatore che aveva udito uno sparo provenire proprio da quel podere non fu presa sul serio. Si noti che il cognato notaio era uno degli acerrimi  “cavalieri dell’accusa” e che ad ogni modo egli stesso aveva un movente più che consistente per commettere l’omicidio: mi riferisco naturalmente all’esorbitante prestito che Quéméneur gli aveva concesso per poter aprire lo studio notarile e che il giurista stentava a rimborsare.

Le accuse contro Seznec furono di omicidio di primo grado e di falso e gli valsero una condanna al bagno penale dove avrebbe espletato i lavori forzati. Chi tra i lettori di De amore gallico ha già visto il film “Papillon”, con Steve McQueen, non ha bisogno che io descriva le atrocità che venivano commesse sui detenuti nella Guyana francese. Per coloro che non hanno guardato questo film, oltre che consigliarlo caldamente, segnalo dei link illuminanti a proposito dell’ l’isola del diavolo orribile luogo di purga.

Già il viaggio fu un orrore indicibile. L’approdo condusse Seznec all’inferno in terra, dove trascorse ben più di due decenni con il numero di matricola 49302. Mente si trovava in quel lembo di terra dimenticato da Dio, Seznec perse la madre e la moglie, le quali pertanto, una volta emessa la condanna dopo il processo, non lo videro mai più. Seznec fu costretto a vivere per sei mesi nel silenzio e nel buio, in permanenza dentro una cella di 12 mq, dalla quale poteva uscire solo una volta al mese.
Fu poi assegnato ad un’altra mansione, perché il suo stato di salute precipitò orrendamente a causa delle condizioni da tregenda del bagno penale.

Intanto in Métropole la figlia minore, Jeanne, continuava la campagna per la scarcerazione del padre, già iniziata dalla madre e dalla moglie di Seznec. Va detto che Seznec non chiese mai la grazia presidenziale, e questo, insieme al suo professarsi innocente, potrebbe essere un indizio a favore dell’ultima tesi emersa dalle indagini e di cui parlerò in chiusura, essendo tra tutte le ipotesi vagliate quella più convincente, a mio giudizio.
La grazia per mano di De Gaulle fu raggiunta nel 1947. Il merito va all’azione del gruppo capitanato da Jeanne e, tra gli altri, da dal giornalista Emile Petitcolas, dal giudice Victor Hervé, da Françoise Bosser della Lega dei Diritti dell’Uomo e al ripensamento clamoroso di alcuni giurati che si pentirono pubblicamente di aver mandato Seznec al bagno penale. L’uomo aveva passato vent’anni in Guyana.

A bordo del Colombie Seznec fece ritorno a casa. Durante la traversata gli fu scattata questa foto: sezneccolombie

Aveva 69 anni.

In Francia concesse delle interviste e partecipò ad alcune conferenze sugli errori giudiziari e non smise mai di professarsi innocente. Purtroppo Seznec trovò la morte pochi anni dopo essere tornato un uomo libero: nel novembre del 1954, all’età di 76 anni, fu investito da un’automobile a Parigi e morì qualche mese dopo per le ferite riportate nell’incidente. Chi era alla guida del veicolo? Seznec finì sotto le ruote per accidente o fu spinto? Era un personaggio pubblico, e probabilmente scomodo. Chi aveva un valido motivo per liberarsene? Nessuna di queste domande ha avuto risposta, ma l’epilogo della vicenda, e forse la spiegazione più razionale, va ricercato nelle parole di uno dei figli di Seznec. Come riporta la nota testata francese Le Point:

À l’origine de ce qui pourrait devenir un spectaculaire rebondissement, le témoignage inédit d’un des enfants de Guillaume et Marie-Jeanne Seznec. Celui qui fut surnommé « Petit-Guillaume » avait onze ans au moment des faits. En 1978, il se confie à l’un de ses neveux qui l’enregistre. En ce jour de mai 1923, le garçon entendit sa mère crier. Il la vit repousser les avances d’un homme, puis se souvient d’un homme à terre. « Je crois qu’elle a dû se défendre et le frapper à la tête », confie-t-il. Était-ce Pierre Quémeneur dont Marie-Jeanne se défendait ?

All’origine di quello che potrebbe diventare uno spettacolare risvolto, la testimonianza inedita di uno dei figli di Guillaume e Marie-Jeanne Seznec. Colui che fu soprannominato “Petit-Guillaume” undici anni al momento dei fatti. Nel 1978 si confidò con uno dei suoi nipoti che lo registrò. In quel giorno di maggio 1923, il ragazzino sentì sua madre urlare. La vide respindere le avances di un uomo, e poi si ricorda dell’uomo disteso a terra. “Io credo che lei debba essersi difesa e che lo abbia colpito alla testa.” Era Pierre Quéméneur l’uomo da cui marie-Jeanne si stava difendendo?

Questa testimonianza, unita alla professione di innocenza di Seznec, insieme al suo rifiuto di chiedere la grazia, gettano nuova luce e fanno vedere il tutto da un’altra prospettiva.

Tanti anni sono passati, i protagonisti della vicenda sono da tempo sottoterra, ma la ricerca di una verità inoppugnabile continua. Perché il tema degli errori giudiziari è troppo importante e perché non c’è giustizia se un innocente finisce dietro le sbarre.

Date un’occhiata a quanti sono i casi clamorosi di errori giudiziari nel mondo. Bob Dylan compose Hurricane, Daniel Day-Lewis ed Emma Thompson recitarono in “Nel nome del padre”, Amnesty International continua con le sue campagne in favore della scarcerazione di tanti che non hanno commesso nulla e tuttavia si trovano confinati in prigioni a scontare pene ingiuste.

La giustizia è fallace, purtroppo, perché è fatta dagli uomini e gli uomini sono fallaci. Ma c’è sempre la possibilità di sbagliare di meno, di dubitare di più, di risparmiare qualcuno. E se magari l’errore ci fa cadere dall’altra parte del filo del rasoio, ebbene, lo ripeto: meglio cinque colpevoli liberi che un solo innocente condannato.

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Grazie.

Il caso Seznec: 95 anni dopo è ancora mistero (parte 2)

Il secondo protagonista della vicenda Seznec si chiamava Pierre Quéméneur. Le fonti da cui attingo le notizie sono le medesime che trovate riportate nella parte 1.

Quéméneur nacque nel 1877, a Finisterre, da una famiglia di contadini. Nel 1903 la tenuta di famiglia fu venduta per acquistare uno stabile a Saint-Saveur, in cui i  fratelli Quéméneur aprirono una rivendita di bibite. Il commercio sembrò subito essere la strada del giovane Pierre: vino, alcolici, carbone, legno… il suo scopo era solo uno, quello di migliorare la propria posizione sociale ed uscire dal ceto da cui proveniva. I suoi sforzi furono già ricompensati nel 1914, quando fu eletto consigliere municipale. Ma la strada per diventare ricco era ancora in salita. Fu così che decise di concentrarsi esclusivamente sul commercio di legname, scelta che si rivelò saggia allo scoppio della prima guerra mondiale, quando di legno ve ne era un enorme bisogno per la costruzione e la consolidazione delle trincee.

Può sembrare crudelmente paradossale, ma la Grande Guerra fu il colpo di fortuna della vita di Quéméneur. Alla firma dell’armistizio di Compiègne, l’11 novembre 1918, egli era un uomo oramai ricco e con una situazione finanziaria stabile: il suo commercio aveva dimensioni internazionali e si era potuto permettere l’acquisto di una lussuosa dimora che sembrava quasi un castello: Ker-Abri, su Lanerneau.

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La sola foto esistente di Quéméneur

Con questa posizione sociale, tanto a lungo agognata, giunsero anche nuovi incarichi pubblici: ne 1919 fu eletto consigliere generale del Finisterre.

Quéméneur divenne un uomo conosciuto nella zona: accedeva a club importanti e mangiava in ristoranti di lusso, andava ad eventi mondani e circoli frequentati da medici, avvocati e membri della buona società.  L’homo novus aveva realizzato il suo sogno, era finalmente “arrivato”. Intorno al 1920 prestò del denaro a suo cognato Jean Pouliquen per l’apertura di uno studio notarile, esattamente 160000 franchi. Ma, con un patrimonio stimato a due milioni di franchi, tale prestito non era che una sciocchezza!

Nemmeno il fisco, che gli chiedeva dei soldi per “benefici di guerra”, lo spaventava: tutto si sarebbe sistemato, ci si sarebbe messi d’accordo, specialmente dopo le elezioni del ’24, verso le quali Quéméneur nutriva un sentimento di fiducia, forte dell’approvazione popolare e della convinzione che, presto o tardi, un seggio da deputato sarebbe stato istoriato con una targhetta a suo nome.

Era questa la vita di Pierre Quéméneur quando, nel 1922, conobbe Pierre Seznec, col quale entrò presto in affari, subodorando una bella opportunità nel commercio delle automobili Cadillac lasciate in Europa dall’esercito americano alla fine della prima guerra mondiale.

Continua con il nodo principale della vicenda nel prossimo articolo.