Ieri, al ristorante, qualcuno a tavola ha ordinato per dessert i profiteroles.
Un trionfo di cioccolato, panna montata, pasta choux e trigliceridi.
Mentre scucchiaiavo pensosa il mio yahourt à la verveine avec abricots, mi sono chiesta quale fosse il legame tra il famoso dessert francese e il verbo profiter, che si usa moltissimo nella lingua di tutti i giorni e che in italiano non significa solo “approfittare, trarre profitto”, come la radice in comune può farci subito pensare, ma anche “godersi, godere di qualcosa”.
ENJOY.
Ebbene, sono andata a scartabellare virtualmente qua e là, ad esempio qui, e ho trovato quanto segue: nel XIV secolo ai domestici veniva dato in premio, alla fine di giornate particolarmente impegnative, una pallina di pasta di pane intrisa di sughi e intingoli e cotta sotto la cenere. Era il petit profit, la carota che dava la motivazione per sopportare i colpi di bastone.
Rabelais, nel romanzo “Pantagruel”, parla di una “Profiterolle des indulgences”, sempre una pallina di pane riempita di qualche buon bocconcino di carne.
Ma è solo grazie alla regina nera Caterina de’ Medici che la base per il moderno profiterole vede la luce: la pasta choux, infatti, come molte altre cose (le forchette, le mutande, i profumi, il gelato, la divisione del pasto in portate salate e dolci) i nostri cari cugini francesi la devono ad una italiana.
Lo chef Antonin Carême, nel XIX secolo, avrà l’idea di riempire questa pasta choux con crema pasticcera e altre farce zuccherate. Successivamente lo chef personale di Talleyrand, Jean Avice, perfezionerà la ricetta di modo che noi, oggi, nel 2019, in questa realtà minacciata dal cambiamento climatico, dalle politiche scervellate dei potenti del mondo, dagli incendi in Siberia e dalla deforestazione dell’Amazzonia, possiamo trovare un breve, sublime momento di oblio, un’occasione d’allegrezza, se vogliamo far riferimento al Montale, nientemeno che en profitant d’une profiterole.

Le foto non sono mie, sono state trovate nel web e il copyright appartiene ai legittimi proprietari.
In questo caldo africano,5 minuti di sollievo
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Parla di un profit con un yaourt alla verveine (anche per il gestore del ristorante). Mia cara Maria Costanza, sei davvero più conveniente a invitare al ristorante della tua nonna Caterina che lei solo per aver un “petit profit” doveva trangugiare almeno dieci chili di profiterole e quattro bassine di yaourt alla verveine! 🙂 🙂 🙂
Bonsoir,
Alex
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Allora, ti dirò, l’albicocca abbinata alla verbena e alla lavanda è la morte sua, come si dice a Roma. Non avrò mangiato i profiteroles, però il mio dessert era buono!
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