Lo strano caso del ‘pet-en-gueule’ e la storia di un’artista poco conosciuta

Letteralmente significa ‘peto in faccia’, con la parola che indica la faccia, gueule, di registro molto basso, tanto da essere propriamente il termine che si utilizza per definire il muso e la bocca degli animali.
Ma non è quello che si può pensare.
Sebbene si parli di peti e flatulenze, esse non c’entrano affatto, a meno che non s’abbia mangiato fagioli con le cotiche la sera prima di sollazzarsi con questo giuoco all’antica.

Si tratta infatti di un passatempo da ragazzini, un gioco da cortile della ricreazione, molto simpatico:

Due ragazzi si mettono ‘a pecoroni’, direbbe Trilussa, noi invece ‘a gattoni’, l’uno di fianco all’altro, ma coi visi rivolti in direzioni opposte. Gli altri due si debbono ingegnare per abbarbicarsi l’uno all’altro, sempre in sensi differenti: uno in piedi dando le spalle ai due compagni che stanno a gattoni, l’altro con la testa rivolta verso i piedi del compagno e sostenuto da quest’ultimo per le gambe.

Il ragazzo in piedi deve rotolare di schiena sulle schiene dei due compagni per terra. Lo scopo è quello di ritrovarsi dall’altra parte con i ruoli invertiti: quello che penzolava sostenuto dall’amico ora è in piedi e mantiene per le gambe quello che prima stava in piedi e che è rotolato sul dorso.

Come tutti i giochi per ragazzi è più facile a farsi che a dirsi.

Come spiega eloquentemente questa illustrazione:

Il giuoco del peto in faccia

Questo sollazzo è assai innocente
e in questo giuoco divertente
i bambini si dilettan liberamente

Ma giacché si stringon fortemente,
senza volerlo o coscientemente,
il didietro il naso teme terribilmente.

Queste debolissime e mediocri rime sono la mia traduzione di quanto è riportato sotto l’incisione che raffigura quei putti grassocci darsi al giuoco del peto in faccia.

Pare che questa incisione sia opera di una donna, Claudine Bouzonnet-Stella. Nata nel 1636 a Lione, studiò arte presso suo zio, a Parigi, dal quale apprese le tecniche dell’incisione. Jacques Stella, infatti, aprì un atelier al Louvre e chiese che la sorella mandasse su da Lione la sua prole per assisterlo in questo progetto. Claudine, quindi, raggiunse lo zio insieme ai fratellini e alle sorelline. Nel 1657 Jacques Stella morì e la nipote Claudine divenne la direttrice dell’atelier, ottenendo dal re l’esclusiva sulla riproduzione dei cliché dello zio.

Claudine successivamente produsse anche delle incisioni originali, come la raccolta intitolata ‘Les Jeux et Plaisirs de l’Enfance‘, in cui si parla del pet en gueule, e ‘Les pastorales’. Gli storici dell’arte sono comunque propensi a credere che le incisioni firmate dallo zio fossero in realtà opera della giovane Claudine, cosa che non stupisce più di tanto…

Ma ci pensate? Una donna che dirigeva un intero atelier d’arte a quell’epoca? Che cosa straordinaria!

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